Una commossa standing ovation e assordanti applausi hanno accolto la proiezione del film “Desert Flower”, diretto dalla regista statunitense Sherry Horman e presentato nella sezione Giornate degli Autori alla 66^ Mostra del Cinema di Venezia. Protagonista assoluta di questa toccante pellicola è l’incredibile storia della top model somala Waris Dirie, fuggita dal deserto della sua Somalia appena tredicenne per sottrarsi a un matrimonio combinato con un uomo di 70 anni. Dopo una serie di avventure rocambolesche e dopo aver svolto mille lavori, Waris riesce a incantare un fotografo conosciuto per caso, che la ritrae e fa circolare le sue immagini nel mondo della moda: Waris diventerà nel giro di poco tempo una delle modelle più apprezzata da stilisti famosi e poserà per il calendario Pirelli dl 1997.
Waris arriva in Europa con una lacerante ferita, fisica ed esistenziale: come molte sue coetanee nate in Africa, infatti, da bambina subisce una mutilazione genitale, una pratica tradizionale in molte zone del continente, che la segnerà per tutta la vita. All’apice del successo la Dirie decide di rendere pubblico il suo segreto, squarciando il velo di silenzio che spesso circonda la sorte di milioni di donne costrette a subire questa pratica in tutto il mondo.
La sua storia diventa anche un libro, “Il fiore del deserto”, a cui è ispirato il film in concorso a Venezia: Waris diventa un’instancabile attivista per i diritti delle donne africane attraverso una fondazione che porta il suo nome, impegnata soprattutto a diffondere informazioni su queste pratiche di cui sono vittime molte bambine africane. Il fatto che questo accada spesso con il consenso di madri, sorelle, zie, secondo la Dirie, si deve proprio a una scarsa consapevolezza sulle implicazioni che le mgf avranno per le vite delle future donne. Il suo impegno le è valso la nomina ad ambasciatrice delle Nazioni Unite.
Sul grande schermo la storia di Waris è interpretata dall’attrice e modella etiope Liya Kebede (foto), presente in sala accanto all’autrice del libro, alla regista e alla giovane attrice Soraya Omar Scego, che ha interpretato il ruolo della Dirie da piccola. Il film, nonostante alcune scene estremamente dure, vuole documentare non solo la sofferenza ma, in ultima analisi, la gioia di vivere nonostante tutto: un augurio che presto le donne africane possano essere libere di esprimere a pieno la loro femminilità conservando la piena integrità dei loro corpi.