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Saviano: la bellezza può cambiare il mondo

In uno speciale di “Che tempo che fa” Roberto Saviano racconta la sua personale ricerca della bellezza attraverso la denuncia dell’inferno

Roberto Saviano
LaPresse

Roberto Saviano è uno scrittore e un giornalista appena trentenne napoletano, ma è diventato ormai molto di più in Italia e nel mondo. Con il suo libro “Gomorra” (tre milioni e mezzo di copie vendute in tutto il mondo e tradotto in 50 paesi) è diventato prima un “caso letterario”, poi un vero e proprio simbolo vivente di cosa significhi ricercare l’umanità anche nei luoghi dove apparentemente di umano è rimasto ben poco.

Dal 13 ottobre 2006 Roberto vive sotto scorta per il coraggio dimostrato nel dedicare il suo talento e la sua arte a uno scopo che non fosse quello puramente edonistico del “raccontare una bella storia”: alla denuncia dell’inferno e alla difesa della bellezza ha sacrificato, ad oggi, 1125 giorni della sua vita di giovane uomo. Lo scorso mercoledì sera Fabio Fazio gli ha dedicato una puntata speciale nella sua trasmissione “Che tempo che fa” intitolata, significativamente, “Dall’inferno alla bellezza”. E’ stato uno spazio che Roberto ha utilizzato, ancora una volta, per mostrare a tutti come l’arte in generale, dalla poesia alla musica, dalla letteratura alle arti figurative, possa avere realmente il potere di cambiare le cose.

Mostrando di sapersi districare tra artisti appartenenti a diverse epoche e a diversi contesti culturali (da Ken Saro Wiwa ad Anna Politkovskaja, passando per Mamma Africa Miriam Makeba), Saviano ha sottolineato più volte come in una situazione “infernale” (sia essa dovuta alla criminalità organizzata, a un regime dittatoriale, a una multinazionale, o semplicemente al conformismo di una vita trascorsa a “voltarsi dall’altra parte”) più delle armi, più della violenza, possono i simboli, le parole, soprattutto quelle degli artisti che hanno il dono di saperle usare meglio degli altri. E che un artista che rifiuta questa vocazione alla ricerca costante della bellezza sotto assedio ne esce in qualche modo monco, sminuito. L’arte, quella vera, quella destinata a superare il tempo e lo spazio e a parlare a tutti è un’arte che accetta di invischiarsi nell’umano, di sporcarsi con le sue miserie, per distillarne, appunto, la bellezza.

Non si fa illusioni, Roberto, sul potere “materiale” dell’arte: alle parole ispirate di artisti di tutto il mondo dovrebbero far seguito, nella vita quotidiana, gli atti concreti di chi ha materialmente la possibilità di cambiare le cose. Ma l’arte un potere ce l’ha, quello di svelare al mondo che “il re è nudo”, di focalizzare l’attenzione su inferni che magari si conoscono, ma che non sono penetrati nelle coscienze di tutti. Come scriveva Albert Camus, “la bellezza da sola non fa le rivoluzioni, non v’è dubbio, ma verrà un giorno in cui le rivoluzioni avranno bisogno di lei”. Dopo “Gomorra”, ma anche dopo libri come “Sozaboy”, canzoni come “Redemption Song”, dopo fumetti come “Persepolis” è più difficile scusarsi dicendo “non sapevo”.

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