Ricordate il film documentario “Super size me” (Morgan Spurlock, 2004) e il suo eroico protagonista costretto a un tour de force alimentare a base di hamburger e patatine, per compiere una crociata contro i fast food simbolo dello strapotere americano? Se quel “sacrificio” vi aveva stupito allora, oggi restereste basiti di fronte all’esperimento che la filosofa spagnola Beatriz Preciado ha imposto al suo corpo, per analizzare “dall’interno” uno dei fenomeni più dilaganti del nuovo secolo: l’abuso di ormoni ed il suo riflesso fisico, psicologico, sociale ed economico.
Un’indagine coraggiosa, come quelle degli studiosi “storici” che prima di lei, da Walter Benjamin a Sigmund Freud, s’infliggevano i nuovi veleni per capire meglio il proprio tempo. E se nel loro caso si trattava di hashish e cocaina, il fatto che Beatriz abbia assunto per tre anni dosi di testosterone non cambia un dato fondamentale. Che cosa sono gli ormoni se non droghe capaci non solo di mutare la personalità di chi ne fa uso, ma anche di condizionare l’intera società? Il punto di vista è sviscerato nel libro “Testo Junkie” (Edizioni Grasset) che, appena uscito in Francia, è già un successo, grazie alla varietà di riflessioni condite della sua vasta esperienza di ricercatrice all’Università di Princetown e docente di Teoria del genere e Storia politica del corpo a Parigi.
Nel 2005, quando Beatriz (Burgos, 11 settembre 1970) dà inizio all’esperimento, l’ormone maschile non può essere venduto a chi non sia definito, previa perizia psichiatrica, affetto da disforia sessuale. Ma lei aggira l’ostacolo assumendo testosterone in forma di gel, spalmandosi la spalla per tre volte la settimana. Dopo pochi giorni, ecco i primi effetti che, aldilà dei muscoli, descrivono la crescita dell’energia fisica e soprattutto la comparsa di una consapevolezza sessuale definita dall’autrice “più virile”. Un’urgenza continua di scaricare la propria libido, sensazione piuttosto diversa da quella indotta dalla pillola su diversa base ormonale che invece destabilizza a livello emotivo. Da qui Beatriz Praciado stabilisce un rapporto tra politica e biologia, stimolando domande e fornendo risposte.
“Cosa succederebbe”, si chiede ad esempio, “se fosse l’uomo ad assumere estrogeni e progestinici e la donna più testosterone?”. Si avrebbero maschi più fragili e donne più desiderose perché, al contrario di quanto si è abituati a pensare, la pillola (simbolo d’emancipazione femminile durante i 70) è anche, aldilà della funzione contraccettiva, strumento di controllo del desiderio. Aspetto sottovalutato rispetto al suo carattere inibitore perché se oggi ci s’illude d’essere liberi dalle catene di un tempo, in realtà è solo perché attraverso i farmaci hanno insegnato alle masse a “controllarsi” da sole. Tuttavia, emerge chiaro come l’identità sessuale dell’individuo vada oltre le categorie biologiche, lo sa persino la Chiesa che ormai, di fronte all’accettazione crescente di tale realtà, si concentra sul rafforzamento dei limiti sociali di chi, come Beatriz, vive una sessualità più ampia rispetto alle proprie caratteristiche anatomiche.
Il libro spazia, così, fino a coinvolgere temi largamente dibattuti negli ultimi anni, dall’aborto all’utero artificiale, fino ai matrimoni gay (che lei non concepisce non perché tra gay ma perché, semplicemente, matrimoni). E, a proposito d’omosessuali, se è vero che l’unione tra donne è ancora meglio tollerata perchè giudicata “meno invasiva” e più “discreta”, sul piano culturale le lesbiche soffrono di mancanza di riferimenti. Se gli omo-dandy del nuovo secolo possono strizzare l’occhio ad illustri predecessori, come Wilde e Proust, e considerarsi quantomeno dei campioni di stile, le lesbiche restano legate a uno scenario on the road che, più che a Jack Kerouac, fa pensare a camioniste e benzinaie tatuate con le chiome rasate e i muscoli gonfiati.