La libertà di espressione è un diritto che ogni paese democratico garantisce, o dovrebbe garantire, a tutti, cittadini e stranieri. Essere liberi di esprimere la propria opinione è il fondamento di una società libera, come sancito dall’articolo 19 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. A Londra esiste un’organizzazione che si occupa da anni di monitorare lo stato della libertà espressiva nel mondo, e di difendere il diritto alle libertà principali come quello di avere un’opinione. Index of Censorship è un organismo nato nel 1972 con lo scopo di pubblicare e rendere note le storie dei dissidenti oltre la Cortina di Ferro, e da allora combatte la censura nel mondo ovunque si verifichi. La limitazione alla libertà di espressione si abbatte su giornalisti, artisti, scrittori, oggi più che mai sui social media, sui bloggers, ma anche su politici, scienziati, accademici, attivisti.
Ogni anno Index of Censorship assegna dei premi a coloro che si sono distinti per l’impegno sul fronte della libertà di espressione, e tra i quattro vincitori di quest’anno, due sono donne, la cui storia è emblema di forza, coraggio e volontà di cambiare le cose. Malala Yousafzai è una giovane studentessa pakistana, impegnata in campagne per promuovere l’istruzione nel suo paese, soprattutto quella femminile. Mentre rientrava da scuola nell’ottobre 2012, un cecchino talebano le sparò alla testa e al petto; per fortuna non morì, e dopo mesi di cure è riuscita a tornare a scuola, ma si è dovuta trasferire a Birmingham. Il padre ha ricevuto il premio da parte della figlia, dichiarando di voler mandare un messaggio al mondo: ogni genitore deve lottare perché ai figli venga garantito il diritto di espressione. Dire sempre la verità senza paura è l’unica soluzione alla fine dei conflitti.
La seconda attivista premiata è un’artista piuttosto nota a livello internazionale, la fotografa sudafricana Zanele Muholi, alla quale diverse testate giornalistiche e gallerie d’arte europee si sono interessate sia per il talento che per le tematiche da lei affrontate. Attivista LGBT, Zanele Muholi propone una visione che sfida la tradizionale percezione del corpo femminile e in particolare delle lesbiche nere. In Sudafrica le lesbiche sono spesso vittime di crimini d’odio orrendi, dagli ‘stupri correzionali’ agli omicidi, e la fotografa ha dovuto affrontare una fortissima opposizione al suo lavoro. Zanele Muholi ha dedicato il premio a due sue amiche vittime di questo tipo di crimine, morte per aver contratto l’HIV: “A tutti gli attivisti di genere, artisti queer, performers, scrittori, intellettuali, a tutti coloro che utilizzano forme di espressione in Sudafrica. La guerra non è finita fino a che non arriveremo alla fine degli ‘stupri curativi’ e degli omicidi brutali delle nere lesbiche, gay e trans in tutto il paese”. Quella di Zanele Muholi è una storia di grande coraggio, che tocca non solo le tematiche inerenti alla libertà di espressione, ma anche dei diritti LGBT e della violenza contro le donne in generale.
Purtroppo sappiamo bene che nella realtà la libertà di espressione in moltissimi Paesi è ancora un miraggio, così come quella di parola, o di stampa. La repressione nei confronti di chi ha l’ardire di uscire dal coro, di manifestare dissenso, di esporre la propria diversità, è fortissima, e in alcune zone del mondo porta addirittura alla morte. Senza andare troppo lontano, ricordiamo che l’Italia, secondo Reporter Sans Frontier, nel 2012 si è piazzata al 61esimo posto nel mondo per libertà di stampa: secondo gli osservatori internazionali il limite alla libertà giornalistica nel Belpaese è molto alto. E pensare che in altri paesi c’è di peggio non può essere una consolazione.
Nell’immagine, una mostra di Zanele Muholi all’esposizione ‘dOCUMENTA’, Kassel, Germania.