Il nuovo anno non è cominciato nel migliore dei modi. Appena concluse le vacanze natalizie, sinonimo per molti di relax e spensieratezza, a togliere il sorriso dal volto è stato un evento di cronaca che ha messo in ginocchio il mondo intero minando gravemente la libertà di espressione.
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Il 7 gennaio 2015, a segnare la storia è stato il più cruento attentato terroristico verificatosi in Francia da quel sanguinoso giugno 1961, anno in cui morirono 28 persone a seguito dell’esplosione innescata dai membri dell’Oas (Organisation armée secret) a bordo del treno Strasburgo-Parigi.
Altro contesto, altre vittime innocenti: sono stati 12 i giornalisti brutalmente uccisi a colpi di kalashnikov, quelli di Charlie Hebdo, il periodico settimanale di satira francese rimasto orfano del suo direttore, Stéphane Charbonnier, e dei vignettisti Jean Cabut, Bernard Verlhac, Georges Wolinski e Philippe Honoré, colti alla sprovvista durante la settimanale riunione di redazione dai fratelli franco-algerini Said e Cherif Kouachi. Non era la prima volta che un attentato tentava di chiudere la bocca al giornale accusato di deridere la figura del Profeta Maometto: nel novembre 2011 la sede di rue Nicolas Appert 10, nell’XI arrondissement, venne distrutta da bombe Molotov a seguito della pubblicazione di un numero speciale uscito dopo la vittoria del partito fondamentalista islamico nelle elezioni in Tunisia ma, in quell’occasione, fortunatamente, non ci furono morti.
Un atto del genere, consumato con spietata brutalità, non poteva rimanere in sordina; il mondo intero ha dimostrato una grande solidarietà con messaggi diffusi sul web, in primis sui social network dove, a dominare la scena, è stato l’hastag #jesuischarlie digitato da utenti di ogni sesso, nazionalità e credo al fine di esternare la propria vicinanza per quanto è accaduto nella capitale francese. Tante anche le manifestazioni che hanno portato la gente, comuni cittadini e illustri cariche dello Stato, a scendere in strada e marciare con matite ben in vista e cartelli con la scritta “Je suis Charlie”: due milioni le persone a Parigi, 20.000 a Bruxelles, 18.000 a Berlino, oltre 1.000 a Washington proseguendo con New York, Los Angeles, Londra e Roma, tutti uniti da un comune denominatore, la lotta per la libertà d’espressione e la battaglia contro la violenza.
Anche i personaggi dello star system non hanno chiuso gli occhi davanti a un tale orrore spendendo generose parole per l’episodio anche in occasione di un appuntamento di fama mondiale quale i Golden Globe, celebrazione che, come tradizione vuole, vede la stampa estera premiare i migliori film e le serie tv americane della stagione.
Golden Globe 2014: i look da red carpet. Le foto
Oltre a soffermare l’occhio sulle mise griffate che hanno visto grandi star sfilare sul red carpet, l’attualità ha preso di petto il glamour: a calcare la passerella di Beverly Hills sono stati cartelli e spille con la scritta “Je suis Charlie” indossati in omaggio alle vittime di Parigi da personalità come Diane Kruger, Helen Mirren, Kathy Bates, Jared Leto e Joshua Jackson portando un momento di riflessione durante la frivolezza del contesto. Toccanti e decisamente commoventi le parole pronunciate dal presidente dell’Associazione della stampa estera di Hollywood, Theo Kingma, che ha ricordato come la libertà di espressione sia stata messa in pericolo prima con la Corea del Nord e poi con gli estremisti, affermando “…noi non cederemo”, parole che hanno toccato il pubblico che ha risposto con una standing ovation.
Anche George Clooney, a seguito della consegna del Cecil B. Demille, riconoscimento che ha premiato l’impegno nel campo umanitario dell’attore, ha espresso la sua vicinanza alla Francia: “Oggi è un giorno straordinario. Milioni di persone hanno marciato non solo a Parigi ma in tutto il mondo ed erano cristiani, ebrei, musulmani, i leader del mondo. Non hanno fatto una marcia di protesta ma una marcia di sostegno all’idea che non cammineremo nella paura. Je suis Charlie.”