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Tatangelo per LILT: si alza il polverone

Anna Tantagelo, il pinkwashing e il cancro al seno: cosa è successo in queste settimane di polverone mediatico

Tatangelo
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Continuano a spuntare qui e lì articoli, post sui social, interviste su una questione che ha acceso un interessante dibattito su più fronti, che prende in causa temi come l’immagine della donna, il corpo delle donne, salute, malattia, strategie di marketing, pinkwashing. Tante questioni importanti e ognuna meritevole di essere approfondita, partite da una campagna LILT – Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori per sensibilizzare sulla tematica del tumore al seno e dell’importanza della prevenzione. Campagne realizzate ogni anno, simboleggiate dall’iconico nastro rosa, e patrocinate dal Ministero della Sanità, che vedono spesso testimonial famose metterci la faccia. E molto altro, questa volta: Anna Tatangelo ha infatti posato per un’immagine della campagna che ha alzato un polverone.


La campagna oggetto del dibattito
 

Le Amazzoni Furiose, gruppo di attiviste composto da malate, ex malate e ricercatrici, donne quindi che il cancro lo conoscono da vicino e che sul tema sono molto ferrate, oltre che sensibili, hanno trovato l’immagine della Tatangelo fuori luogo, in quanto eccessivamente ‘sessualizzata’. La cantante posa infatti abbracciandosi il seno per ‘coprirlo’, ma le abbondanti curve che prorompono, la posa sinuosa, lo sguardo ammaliante rendono la foto “un’immagine sessualizzata e trivializzante della malattia” – cita la lettera inviata dalle attiviste alla ministra della Sanità Beatrice Lorenzin. Apriti cielo: la Tantangelo si indigna e difende l’immagine, i suoi supporter danno alle Amazzoni delle bigotte, i giornali, i blog, vari personaggi pubblici cominciano a prendere posizioni pro e contro. E si riapre, in un modo particolarmente doloroso visto la tematica, il dibattito sul corpo delle donne, sul doverlo mercificare per veicolare contenuti, sull’opportunità o meno di utilizzare questo marketing aggressivo in un frangente tanto delicato. 
 
Ma non è tutto. Le Amazzoni Furiose dichiarano in diverse interviste e sulla loro pagina web (ed è evidente nella loro lettera) che non ce l’hanno certo con la Tatangelo, né tantomeno con il suo essere una donna che ha scelto di rifarsi il seno, tema che l’espandersi del dibattito ha portato a galla e che è stato, falsamente, attribuito alle attiviste. Il loro punto è sessualizzare un tema così delicato, così doloroso per chi ci è passato, quando si poteva, come accaduto in altre occasioni, scegliere immagini più sobrie, misurate, delicate ma efficaci. Ancora, aggiungono le Amazzoni, tutto questo si interseca con quello che viene chiamato pinkwashing, ovvero una strategia di marketing per cui alcune aziende si ‘lavano la coscienza’ sponsorizzando iniziative sulle quali loro stesse hanno responsabilità e intanto attirano su di sè l’attenzione mediatica. In questo caso, una nota casa automobilistica è tra gli sponsor dell’iniziativa: “studi scientifici recenti dimostrano l’elevata incidenza del cancro al seno tra le donne impiegate nella produzione di materie plastiche per il settore automobilistico”, scrivono le Amazzoni. Insomma la loro indignazione è duplice: da un lato il messaggio sessualizzato, dall’altro il pinkwashing senza pudore. Le attiviste hanno chiesto il ritiro della campagna, ma intanto i botta e risposta continuano.