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Maschi fuori dagli schemi; l’Italia del “meninism”

L’esperienza di Maschile Plurale, la rete di uomini che reclama una virilità meno sessista e più libera 

Uomini nel parco
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Stop alla violenza sulle donne, basta annuire di fronte all’idea di una mascolinità strettamente legata a logiche di potere e dominio e sì alla possibilità di esprimere emozioni considerate una prerogativa esclusiva delle donne. Sembra di sentire alcuni degli slogan femministi più conosciuti, ma questa volta, a parlare di “meninism”, il movimento che rivendica le sfide delle donne proponendone di nuove relative all’identità maschile, sono gli uomini italiani. E non si tratta di soggetti isolati ma di vere e proprie reti di persone che a partire dagli anni ’80 e con nuclei disseminati su tutto il territorio nazionale, praticano diligentemente l’autoriflessione. Tra queste, l’associazione Maschile Plurale, una rete di uomini fondata nel 2007 e che oggi si interroga – secondo le parole di Stefano Ciccone, Presidente dell’Associazione – : “Su cosa significhi essere uomini oggi e su come stare in nuove relazioni con le donne e col mondo.”. 

 

Ciao Stefano. Del percorso politico femminile si sa tutto o quasi mentre si conosce meno il percorso di riflessione sull’identità maschile. Qual è il lavoro di Maschile Plurale e quali sono gli aspetti della mascolinità contemporanea che in qualche modo vengono investiti da questo processo di trasformazione?
Oggi l’esperienza degli uomini è attraversata da grandissimi cambiamenti. In questi cambiamenti emergono paure, disagio, ma anche nuovi desideri e nuovi percorsi di libertà. Ma mentre le donne hanno espresso in modo collettivo e consapevole il loro desiderio di cambiamento il rapporto degli uomini con il cambiamento è ancora contraddittorio, spesso individuale, senza occasioni e parole per poterne condividere ansie e aspetti creativi tra uomini. Pensiamo a quanto il rapporto con il lavoro fosse al centro della costruzione dell’identità di un uomo (sei uomo perché porti i soldi a casa, perché ti sei fatto da solo, perché hai un mestiere e un sapere da trasmettere a tuo figlio) e quanto questo sia diventato precario, frammentato e discontinuo, marginalizzato nell’immaginario sociale. Pensiamo alla paternità che è forse il terreno dove si vivono i maggiori conflitti (specie nelle separazioni, sull’affidamento dei figli) ma anche le più grandi invenzioni ancora poco visibili (pensiamo ai padri che scelgono di prendersi cura dei figli, di avere con loro una nuova intimità e di non limitarsi ad insegnarli ad andare in bicicletta, dettare le regole o portarli allo stadio).
 
Tutto questo ancora non trova un’espressione pubblica collettiva leggibile da parte degli uomini. Come reinventare il proprio rapporto con il lavoro, con la paternità, con la sessualità. Quello che non possiamo nominare non esiste e ancora non abbiamo parole per esprimere il cambiamento maschile possibile. 
Il nostro punto di partenza è stato il confronto con la violenza maschile contro le donne. Spesso questo tema viene enfatizzato e distorto: si parla di violenza guardando solo le donne vittime e rappresentando le donne schiacciate nel ruolo di vittime, di soggetti deboli e gli uomini restano invisibili. Si crea un allarme sociale che, paradossalmente, marginalizza il problema della violenza, lo rappresenta come frutto di una devianza di una patologia da delegare a forze dell’ordine e criminologi, la violenza è sempre quella che fanno gli altri: gli stranieri, quelli che impazziscono. In questo modo ci tranquillizziamo, possiamo dirci che “non ci riguarda”. Se invece proviamo a riflettere sulle radici sottili che collegano la diffusa violenza maschile contro le donne a una cultura e a un immaginario condivisi, scopriamo che la violenza ci chiede di mettere in discussione la nostra “normalità”.
 
Si sente spesso parlare di cultura patriarcale. Può spiegarci di cosa si tratta e quali sono i segnali più evidenti di questa maniera di concepire e agire la società?
La costruzione di un sistema gerarchico che noi introiettiamo e dunque percepiamo come “naturale”: plasma i nostri desideri, le nostre aspettative, la percezione che abbiamo del nostro corpo. È un sistema che non riguarda solo strettamente i rapporti tra i sessi ma una rappresentazione della realtà in cui siamo portati a un’organizzazione che distingue maschile e femminile attribuendo a questi attitudini stereotipate: intraprendente, accogliente, autorevole /sensibile, ma anche razionale/emotivo, pubblico/privato… non si tratta solo di una distinzione rigida ma anche di una distinzione gerarchica: alto/ basso, attivo/passivo…
Per gli uomini il rapporto con il potere, l’autorità diventa inscindibile dalla propria identità: sei uomo perché dai  il tuo nome, la tua protezione  il tuo sostegno a tua moglie e ai tuo figli, sei uomo se sei sessualmente potente, sei uomo se competi con gli altri uomini, se hai una “prestazione” sociale, lavorativa o economica. Il rapporto tra donne e uomini diventa così necessariamente asimmetrico: non uno scambio tra due desideri e due soggettività ma uno scambio di potere, denaro, autorevolezza in cambio di disponibilità, cura.
 
Quali sono i tratti dell’identità maschile che non emergono anche a causa di questo tipo di cultura spesso monotematica e oppressiva?
Veniamo educati a “essere uomini” con l’idea che questo voglia  dire non ascoltarsi, non esprimere le proprie emozioni considerate “femminili” (fin da quando ci si dice da piccoli di non piangere per non apparire femminucce). Ma non si tratta di scoprire e far emergere attitudini femminili in noi, ma di liberare un altro modo possibile di essere uomini. Le relazioni tra uomini sono schiacciate tra il cameratismo e la competizione, la sessualità costretta nel modello del dominio o della prestazione, l’intimità temuta e rimossa. Forse dovremmo ripartire dalla riscoperta del corpo maschile: pensarlo non solo come macchina, strumento, arma o armatura, come parte “bassa” scissa dai sentimenti e dalla razionalità, forse riusciremmo a vivere meno divisi, meno schizofrenici. Oggi e cose stanno cambiando: ci sono padri che scelgono di non perdersi l’esperienza della relazione con i loro figli piccoli, ragazzi che vivono più liberamente la loro sessualità, che si misurano con ragazze che esprimono molto più liberamente il proprio desiderio, uomini che vivono relazioni di dialogo e di ascolto con i propri amici non più limitate al calcetto o alla partita di caccia.
 
Anche l’espressione più libera dell’omosessualità parla a tutti gli uomini. L’insulto, l’irrisione, la discriminazione verso l’omosessuale non colpisce solo chi ha un orientamento sessuale e affettivo diverso, ma esercita una minaccia su tutti gli uomini, interdice qualunque “sgarro” al modello di virilità dominante, rattrappisce i gesti tra uomini, vieta qualunque intimità maschile e l’espressione di sentimenti che non corrispondano al modello maschile stereotipato. 
 
Il recente video 10 hours walking in NYC ha scatenato molte polemiche e ha riaperto il dibattito sul concetto di molestia. C’è chi considera un approccio nato per strada quasi come un diritto e chi rivendica la libertà delle donne di camminare senza subire comportamenti di questo tipo. Lei cosa ne pensa?
Quello che vediamo per strada non è un normale “approccio”, non è un effettivo tentativo di conoscenza (che peraltro deve sempre prevedere l’incontro tra due persone che liberamente si scelgono) ma l’ostentazione di un’aggressione che certo non cerca un dialogo. Non si tratta quindi di essere moralisti ma di riconoscere che nella battuta per strada c’è soprattutto un esercizio di potere, di controllo. Questo vuol dire interdire i giochi di seduzione, corteggiamento? Certo che no. Ma di riconoscere che questo gioco ha senso se è reciproco, se accetta la libertà femminile e il rifiuto, se non considera come disponibilità sessuale l’indossare una gonna corta o dei leggins. Vuol dire accettare come uomini la possibilità che una donna voglia essere bella, seduttiva ma che questo non voglia dire che sia a nostra disposizione o, per questo, meno meritevole di rispetto.
 
Quali sono i prossimi progetti di Maschile Plurale?
In questi anni abbiamo lavorato molto sulla violenza: nelle scuole, con i centri antiviolenza, incontrando gli uomini condannati per violenza…ma lo abbiamo fatto soprattutto perché sentivamo che quella era l’occasione per parlare di noi, per scavare nelle nostre relazioni e nelle nostre contraddizioni. Oggi credo sia necessario andare oltre. Non fermarsi a denunciare la violenza e a svelarne le radici culturali. Ci interessa provare a stare nel cambiamento possibile. Non a caso l’ultimo incontro che abbiamo organizzato a Roma aveva come sottotitolo: “cosa cambia se cambiano i desideri degli uomini”. 
 
Qual è il rapporto dell’Associazione con il femminismo?
Spesso il femminismo viene rappresentato in modo caricaturale: le femministe arrabbiate, ostili agli uomini, aggressive… è la difficoltà a fare i conti con un conflitto che le donne hanno aperto e che metteva al centro il loro desiderio di libertà. Io non credo di dove accettare un po’ rassegnato quella che viene rappresentata come una minaccia, e non credo nemmeno di voler fare l’uomo che ipocritamente sostiene le rivendicazioni delle donne. Io ho trovato nel femminismo, nell’elaborazione e nell’esperienza concreta delle donne un’opportunità per me. Il femminismo ha reso visibile una dimensione della vita umana (la sessualità, le relazioni, il corpo, la tensione tra soggettività personale e ruoli sociali dominanti) che era stata considerata ininfluente, privata o “naturale” dal pensiero maschile. In questo modo mi ha offerto la possibilità di pensare un cambiamento, la possibilità di dire che anche il mio destino non è segnato e schiacciato nelle modalità proprie delle generazioni precedenti. Molti uomini credo abbiano scoperto che la libertà e l’autonomia femminile non sono una minaccia che ci espone all’abbandono e alla frustrazione. La libertà delle donne è condizione per la mia libertà. Incontrare donne che mettono in gioco il loro desiderio e il loro piacere, che scelgono arricchisce la mia sessualità e la mia vita relazionale, non la impoverisce. Si è aperto uno spazio per pensare una politica che non cambia solo i governi o le regole dell’economia ma anche le vite delle persone. In questa politica il femminismo mi offre strumenti e categorie per un mio percorso come uomo. Ora dobbiamo provare a costruire parole maschili per esprimere il nostro desiderio di cambiamento.
 
Quali sono gli appelli che Maschile Plurale rivolge alle Istituzioni?
Credo che le Istituzioni dovrebbero ascoltare di più la società, non considerarsi impermeabili e non accontentarsi della comunicazione come “immagine” come costruzione facile del consenso. Sul tema della violenza le istituzioni hanno scelto la scorciatoia dell’intervento repressivo senza investire sulla prevenzione che richiede un cambiamento culturale. Oggi deve investire risorse su quelle esperienze come i centri antiviolenza che non si limitano a “erogare servizi “ alle donne vittime di violenza ma fanno un lavoro di cambiamento nella cultura delle relazioni tra donne e uomini. In questo campo servono competenze ma non bastano. 
 
Oggi nascono anche interessanti sperimentazioni di lavoro con gli uomini che agiscono violenza: si tratta di iniziative ancora all’inizio ma che cercano di agire con gli autori della violenza per produrre un cambiamento e tentare nuove strade per prevenire la violenza e non intervenire solo a posteriori. Ovviamente investire su queste sperimentazioni non può significare togliere le poche risorse disponibili per i centri antiviolenza che lavorano con le vittime. Non si può riconoscere che la violenza è un problema drammatico e diffuso e poi non investire risorse per contrastarla, considerare i soldi spesi per i servizi territoriali uno spreco che non possiamo permetterci. Tra i parametri europei da rispettare oltre i conti dovrebbe esserci la qualità sociale. Investire sulla salute e la sicurezza delle persone, la qualità delle relazioni, la libertà di scelta di ognuno e ognuna di noi rispetto alla sessualità o la genitorialità non dovrebbe essere considerato uno spreco ma un investimento necessario. Ma questo è un altro discorso..