Una recente mostra al V&A Museum di Londra ha analizzato quali siano stati gli ‘oggetti rivoluzionari’ nella storia recente dei movimenti di protesta: simboli, oggetti comuni divenuti emblema di una lotta, accessori della vita quotidiana de-contestualizzati che diventano manifesto di un pensiero. Ad Hong Kong, durante le centinaia di manifestazioni dello scorso anno, gli ombrelli sono divenuti il simbolo della disobbedienza civile, e tutto è nato dal semplicissimo gesto di una ragazza, Willis Ho, una 23enne che oggi è divenuta volto femminile delle manifestazioni.
Attualmente il movimento che ha sconquassato Hong Kong è in stand-by, ma analisti, giornalisti, sociologi e politologi sono pronti a scommettere che si ri-infiammerà anche quest’anno, visto che le domande di maggiore democrazia nella città-stato cinese non sono state ancora ascoltate, o meglio sono state sentite, ma ignorate. Nel frattempo i sui protagonisti continuano a tenere alta l’attenzione attraverso il web e i social network, dove continuano a postare riflessioni sulla necessità di continuare la disobbedienza civile.
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Un gesto pacifico, simbolico e comune come quello di aprire l’ombrello (che si è rivelato utile contro i lacrimogeni) da parte di Willis Ho è stato imitato da centinaia, migliaia di giovani, che hanno preferito venire identificati con l’Umbrella Movement piuttosto che con l’appellativo di Occupy Central, ritenuto più ‘violento’. Ed ecco che una giovane ragazza che a descriverla è all’antitesi di quella che ci immagineremo una riot-girl, curata, truccata, ben vestita ma casual, con quel tocco eccentrico delle ragazze asiatiche come le lenti a contatto stravaganti, può diventare icona di una rivolta popolare. E’ stata arrestata ben tre volte solo lo scorso autunno, ma, ha raccontato alla rivista Quartz ‘Non mi importa come la gente mi vede, se scegliamo la disobbedienza civile stiamo facendo la cosa giusta’. Ho viene da Mong Kok, una delle aree più ‘calde’ delle scorse manifestazioni; è laureata in filosofia, e si è avvicinata al movimento attraverso l’Hong Kong Federation of Students. Ha partecipato a tutti gli eventi, dormendo all’aperto negli accampamenti improvvisati in strada per molte notti, e con lei tanti, tantissimi giovani, ma anche un numero impressionante di donne.
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Le proteste di Hong Kong e in particolare l’Umbrella Movement hanno infatti visto una partecipazione femminile davvero ingente. Ragazze giovani, con indosso shorts e ballerine, rossetto rosa e t-shirt, hanno aperto i loro ombrelli e hanno abbracciato un momento storico nella storia contemporanea dell’ex colonia britannica. Si dedicano soprattutto alla parte organizzativa, come la distribuzione di cibo, la comunicazione, ma molte, molte di loro, si schierano anche in prima linea quando lo scontro si fa più acceso. Nessun evento politico da quando nel ’97 Hong Kong è tornata alla Cina aveva mai visto tante donne coinvolte attivamente. Il loro impegno ha persino mutato un modo di dire locale: vengono infatti chiamate le ‘principesse’, (‘gong-nui’, letteralmente ‘ragazza di Hong Kong’ ma comunemente riferito al concetto di ‘principessina’ viziata), appellativo prima considerato ingiusto e che oggi ha cambiato significato. La nuova generazione di principesse ribelli è pronta ad riaprire gli ombrelli.