Siamo nel lontano 1786, nel salotto della Capitale Sabauda. Qui un giovane Antonio Benedetto Carpano decise, dopo aver sperimentato diversi intrugli di erbe, di dare vita al celebre Vermouth, oggi riconosciuto come parte dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani. Il nome di questo alcoolico deriva da Wermut, con il quale viene chiamata, in lingua tedesca, l’Artemisia Maggiore, ovvero l’Assenzio Maggiore. Ma di cosa stiamo parlando? Questo particolare prodotto e strettamente regolamentato dalla legislazione italiana ed in parole povere corrisponde ad un vino bianco aromatizzato con diverse spezie. Infatti, la sua gradazione alcolica non deve essere inferiore al 14,5% ed al tempo stesso non deve essere superiore al 21% in volume. Inoltre, per poter vantare l’appellativo di Vermouth, il drink deve necessariamente essere composto dal 75% di vino bianco secco, da zucchero, alcool a 95 gradi ed infine da piante aromatiche, delle quali la più importante risulta essere l’Assenzio Maggiore.
In quegl’anni di guerre di secessione, di monopoli e di accordi politici, sorseggiare un buon vino non era cosa da tutti i giorni. Infatti, le problematiche connesse al commercio ed alle questioni politiche avevano portato le vendite di vini francesi a subire un inesorabile arresto, ed il terreno si era dimostrato fertile per la diffusione dell’ormai rinomato Vermouth, il quale permetteva di riutilizzare vini giovani, surrogando le sapidità tipiche dell’invecchiamento attraverso l’aggiunta di zuccheri e di una particolare miscela di erbe aromatizzanti. La mistura registrò una grande diffusione, sia per la gradevolezza del gusto, sia per l’inferiore costo di produzione, e venne immediatamente adottata in gran parte dell’Europa. Il vino liquoroso ebbe, infatti, un enorme seguito ed il merito è da attribuire alla sua incredibile dolcezza, estremamente gradita dalle dame dell’epoca. Oggi, il Vermouth si beve specialmente come aperitivo e rientra nella composizione di molti cocktail, tra i quali il più famoso è il Martini.