C’è un termine che gira in lungo e in largo, onnipresente sui media e in tutto ciò che parla di lifestyle contemporaneo, un termine che qualcuno usa con scioltezza, qualcun altro ha appena scoperto, ma di colpo non riesce a smettere di imbattercisi: Hipster. Gli hipster sono il fenomeno socio-culturale del momento, una subcultura giovanile (composta però più da trentenni che ventenni) che negli Stati Uniti trova la sua culla, mentre in Italia si è da poco affacciata.
Come tantissime sottoculture che dal dopoguerra ad oggi hanno caratterizzato epoche storiche, ‘l’hipsterismo’ si contraddistingue per l’abbigliamento, il look, gli oggetti-feticcio, ma a differenza dei movimenti giovanili di un tempo non ha connotazioni politiche e anche il genere musicale non è del tutto chiaro, perché si tratta di un confluire di diversi generi in una sola ‘tipologia umana’. Di sicuro nulla di mainstream. E’ infatti questo il tratto saliente dell’hipster, ovvero il rifuggire tutto ciò che è commerciale, popolare, superato: il termine deriva dall’inglese ‘hip’, cioè ‘alla moda, di tendenza’, nell’accezione di qualcuno che sta sempre un passo avanti rispetto alla media, ma nell’hipster l’essere ‘avanti’ acquista anche una sorta di esclusivismo. In realtà sull’etimologia del termine ci sono anche altre opinioni, una delle quali si rifà agli hepcats, i fan dei jazzisti neri degli anni ’30 e ’40. E’ proprio in quest’epoca infatti che nasce l’hipster, identificato come un bianco che ama la musica jazz nera e come i musicisti cerca di vestirsi.
Ma andiamo sul lato pratico: cosa contraddistingue gli hipster? Innanzitutto, è molto più facilmente caratterizzabile l’uomo, un po’ perché la donna ‘alternativa’ in fatto di look è più comune, un po’ perché uno dei tratti salienti dell’essere hipster è avere la barba. Una folta barba in stile ottocentesco. E baffi, baffi importanti, magari a manubrio. Baffi e barba sono così identificativi che avrete notato già come nel merchandising siano gettonatissimi. Ed è difficile non notare che nelle città più alla moda fioriscono barbieri vintage come se gli anni trenta fossero tornati all’improvviso. E difatti l’altra caratteristica importante dell’hipster è l’amore sfrenato per il vintage, sia nell’abbigliamento che nell’arredamento, passando per l’oggettistica. Fare l’identikit dell’hipster rischia di diventare qualunquista, ma in linea di massima non mancano le scarpe stringate o in alternativa le Vans, il jeans iper-attillato con risvolto alla caviglia, la camicia a quadrettoni da boscaiolo, abbottonata fino al collo, d’inverno una giacca con le toppe sui gomiti e l’immancabile berretto calato sulla testa, anche nei luoghi chiusi. In questo guardaroba trovano spazio anche le magliette a righe orizzontali (sì, lo stile marinaro è molto amato, con tanto di ancore e timoni dove possibile), t-shirt di band che appartengono al passato, cardigan sdruciti e maglioncini della nonna. Altro vero must è l’occhiale con montatura spessa, anche se la vista non ha alcun problema. Un po’ grunge, un po’ vintage, un po’ nerd, un po’ indie: l’hipster mescola feticci di diverse sottoculture e li assembla in una nuova identità.
Il tutto dev’essere condito di un effetto disinteressato, come se ci si fosse messi addosso la prima cosa trovata nel guardaroba, quando in realtà poche sottoculture sono edonistiche come quella hipster. Appartenenti alla classe medio-alta, gli hipster amano l’arte in tutte le sue forme, ma in particolare la fotografia e il cinema, sono acculturati, adorano i mercatini dell’usato, i vinili, il cibo biologico, i tatuaggi, la bicicletta specialmente se a scatto fisso.
In verità anche se il termine sta man mano svuotandosi di significato per l’uso inappropriato che se ne fa, soprattutto nella lingua italiana che ancora non lo conosce davvero. Chiunque abbia gli occhiali ormai è hipster, chiunque vada a un brunch è hipster, chiunque porti la barba è hipster, e chiunque indossi un berretto è hipster. Prendere in giro gli hipster è uno sport popolare in rete, come un tempo si prendevano in giro i metallari, i truzzi, gli emo: il potere della tastiera permette di sentenziare e ridicolizzare chiunque si discosti dalla massa. A New York c’è un quartiere che è l’apoteosi dell’hipster, Williamsburg, dove più che da ridere c’è da meravigliarsi: qui gli hipster hanno creato realtà artistiche e culturali di tutto rispetto, ma anche attività interessanti dove si produce cibo biologico, si restaurano mobili antichi, si creano bici su misura, si promuovono comportamenti ecologici. Non sono espressamente politici, anzi sono decisamente disinteressati, ma a loro modo portano avanti una piccola rivoluzione culturale. Anche a Londra, in particolare nel quartiere di Shoreditch, la tendenza è molto forte, così come a Berlino nel quartiere di Prenzlauer Berg, e ce ne sono molti anche al nord Europa, in particolare a Copenaghen. In Italia, senza offesa, come spesso accade si imitano mode che non sono propriamente nostre, finendo per diventare goffe e a volte un pochino ridicole.
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