Ogni cultura, tradizione, civiltà, religione, tribù sin dall’inizio del genere umano ha inventato modi e rituali per celebrare il passaggio dalla vita alla morte. C’è chi scavava nel terreno, chi costruiva edifici imponenti, chi usava seppellire i propri cari nelle grotte, come ancora oggi c’è chi sceglie tumuli sotto terra piuttosto che disperdere le ceneri al vento, e c’è anche chi festeggia allegramente. La morte fa parte della vita, e per storici ed antropologi il rituale ad essa legato è oggetto di studio estremamente interessante. Il New York City Museum ha deciso di dedicare a questo soggetto una mostra ed un interessante convegno, prendendo come raggio d’azione i rituali funebri dell’America del 19esimo secolo. La tematica si sviluppa su due fronti: da un lato la mostra A Beautiful Way to Go: New York’s Green Wood Cemetery, e dall’altro l’incontro con il dottor Stanley B.Burns, luminare di medicina e psichiatria, che approfondirà il tema delle fotografie post mortem, quei ritratti (oggi ritenuti macabri) che si usava fare alle persone appena decedute ‘Pictures After Death: Postmortem Photography and Memorialization in 19th-Century America’.
La fotografia dei morti era una pratica comune tra il 19esimo e il 20esimo secolo, una sorta di ‘imbalsamazione’ dei cari, una ‘mummificazione visiva’. A volte davvero incredibile: foto di gruppo, abbracci, pose ad occhi aperti, con il corpo sistemato in modo da apparire vivo. Pratica nata in epoca vittoriana ed esauritasi intorno agli anni ’40, la fotografia post mortem era l’unico modo che le persone meno abbienti avevano di farsi ritrarre: uno scatto (che all’epoca si faceva con il dagherrotipo) costava molto, e quindi l’unico che ci si permetteva era assieme ai propri cari, defunti. C’è anche da considerare che all’epoca la mortalità infantile era molto alta, e per tanti genitori la foto post mortem era la prima e unica con il proprio figlio. Negli anni la fotografia divenne più diffusa, e i ritratti di famiglia aumentarono, eppure la tradizione della foto post mortem non si perse, almeno fino alla prima metà del ‘900, quando in più l’avvento della duplicazione consentiva alle persone di scambiarsi immagini dei parenti defunti.
Negli anni lo stile cambiò: inizialmente si fingeva che il defunto fosse vivo, in alcuni casi si truccavano addirittura le gote per farlo apparire in salute; successivamente si cominciarono a ritrarre nelle bare. Il dottor Burns ha collezionato ed archiviato negli anni un cospicuo ammontare di materiale sul tema, pubblicando tre libri: la serie Sleeping Beauty. Il 21 maggio presso il Museum of New York City si terrà un incontro in cui si affronterà il tema della fotografia post-mortem in America, co-sponsorizzato dalla New York Academy of Medicine.
Questo incontro si inserisce nel contesto della mostra, inaugurata il 15 maggio, A Beautiful Way to Die: New York’s Green-Wood Cemetery. Non si tratta naturalmente di un cimitero qualunque, ma di una delle icone territoriali più importanti della storia della Grande Mela, all’epoca, 175 anni fa – precede la costruzione di Central Park e Prospect Park – il più importante spazio verde della città. Green-Wood (Brooklyn) fu uno dei primi cimiteri rurali degli Stati Uniti, un bellissimo spazio bucolico dove il paesaggio omaggiava la vita e la natura piuttosto che intristire con la morte. Una sorta di meraviglioso ponte tra vita e aldilà, in cui architetti e scultori hanno eretto monumenti e statue: il percorso espositivo comprende infatti artefatti originali, disegni, sculture, documenti storici e immagini di uno dei simboli di New York meno noti ai turisti, ma assai caro ai cittadini della Grande Mela.