Compito arduo quello di far dipingere dei writer sulle pareti di una delle maggiori istituzioni dell’arte contemporanea. La Fondation Cartier accetta la sfida, cercando di conciliare due concetti opposti quali strada e museo all’interno della mostra sulla Graffiti Art.
L’esposizione vuole mettere in luce la vitalità di questo movimento artistico nato all’inizio degli anni ’70 a New York e divenuto rapidamente un fenomeno mondiale. Il percorso storico dell’esposizione mostra l’evoluzione di stili e tecniche differenti: dalle prime tag che compaiono sui muri di Manhattan e Bronx alla fine degli anni ’60, passando per i grandi graffiti sugli edifici industriali e sui treni delle metro nel corso degli anni ’70, fino ad arrivare alla popolarità degli gli anni ’80, quando il movimento viene consacrato definitivamente all’interno dei circuiti dell’arte contemporanea.
Fondamentale, in questo senso, il ruolo di alcune gallerie newyorkesi come la Fashion Moda di Stefan Eins e la Fun Gallery di Patti Astor, che per prime hanno iniziato ad esporre i graffiti. Grazie anche a personaggi simbolo come Kaith Haring e Basquiat, che assorbono nella loro ricerca artistica codici e stilemi proprio del movimento writing, vengono così definitivamente saldati i legami tra l’arte ufficiale e la sottocultura-Graffiti.
La mostra sottolinea l’innovazione delle ricerche stilistiche di artisti come P.H.A.S.E. 2, Blade, Kase 2 e Dondi, che hanno segnato in profondità l’iconografia di questo movimento arricchendolo negli anni di costanti innovazioni formali. La sezione meglio riuscita è quella documentaria. Le fotografie di Jon Naar, Henry Chalfant, Martha Cooper e Flint Gennari, i film d’epoca, le interviste inedite ai pionieri realizzate da Coco 144, gli archivi di Jack Steward e i numerosi documenti riuniti nell’esposizione, costituiscono una testimonianza importante sulle origini di un’arte che, per la sua natura effimera, ha lasciato poche testimonianze di sé.
Nella selezione dei video è presente anche Wildy Style, il film cult di Charlie Ahearn del 1982 che per primo ha reso popolare il movimento, narrando le gesta della graffiti art, il suo rapporto con la musica hip-pop e la break dance, nello scenario del ghetto americano. Per l’evento la fondazione ha commissionato a tre degli artisti maggiori del movimento (P.H.A.S.E 2, Part One e Seen) dei graffiti monumentali per i muri della sala espositiva. Altri 10 giovani artisti, venuti da diversi paesi, sono stati invitati a dipingere nelle restanti sale, nei bagni e sulle facciate esterne della fondazione. Tra questi: Jon One, Nug, Evan Roth, Delta, Vitché e il promettente Barry McGee, “sponsorizzato” dalle fondazione Prada.
Presentato in anteprima il film “Pixo”, de João Weiner e Roberto Oliveira, un interessante documentario sulla pratica artistica estrema dei “pixadores” brasiliani di San Paolo, fenomeno unico nell’ambito della street art, che incarna al tempo stesso radicali rivendicazioni estetiche e politiche. Un’esposizione interessante, che sebbene sconti il paradosso di mettere in mostra i graffiti in una sede museale, vanta tuttavia lo sforzo di aver contribuito a storicizzare un importante movimento artistico che oggi, fuori dai musei e dalle fondazioni private, continua ancora a mostrare tutta la sua vitalità.
Né dans la rue,
Fino al 29 novembre 2009
Fondation Cartier
261, Boulevard Raspail
F-75014 Paris
+33 1 42 18 56 50