Tsering Woeser è un personaggio scomodo per la Cina post-olimpica. Il gigante asiatico, che nonostante i suoi progressi nel campo dell’economia, vacilla ancora paurosamente nel campo dei diritti umani e del rispetto delle minoranze, trema davanti all’esile figura di questa donna che non accetta di tacere.
Poetessa, scrittrice, giornalista e attivista per i diritti umani, la Woeser nasce nella Regione Autonoma del Tibet nel 1966. E’ figlia della Rivoluzione Culturale: suo padre un alto ufficiale nell’Esercito di Liberazione Popolare. Educata in istituti di lingua cinese, la Woeser ha imparato molto tardi la lingua del suo Tibet natale. Questo bilinguismo, tuttavia, le ha consentito di potersi rivolgere con le sue poesie e il suo lavoro da giornalista a un pubblico che includesse tibetani e han (il gruppo a cui appartiene la maggioranza dei cinesi).
Attraverso l’arte della parola, la Woeser ha iniziato a testimoniare verità scomode per il regime cinese, parlando dell’oppressione di cui sono vittime i tibetani. Per questo il governo centrale cinese ha preso una serie di provvedimenti mirati alla restrizione delle sue libertà: licenziata da un giornale per il quale lavorava, la Woeser è stata obbligata a risiedere a Pechino e ha visto man mano ridursi i suoi spazi d’espressione, con la chiusura dei suoi blog, gli attacchi informatici al suo account Skype e ai siti con cui collaborava, la messa al bando dei suoi libri e, infine, l’arresto durante le rivolte della scorsa estate in Tibet.
Instancabile testimone dell’affermazione dei diritti umani nel suo paese, la Woeser non si è mai arresa e ha sempre escogitato nuove forme per diffondere i suoi messaggi in forma di scritti e poesie. In un’intervista ha dichiarato: “sono una scrittrice, e uno dei principi etici di uno scrittore è presentare la verità”. Internet la aiuta in quest’impresa, aprendole nuove strade man mano che la censura cinese le blocca canali e vie d’accesso al mondo esterno. Da poco, lei e il marito, lo scrittore Wang Lixiong, hanno aderito a una campagna di protesta contro i massacri nello stato cinese dello Xinjiang contro la popolazione uigura. Il suo impegno, dunque, non è rivolto solo al Tibet, ma abbraccia le molte minoranze che abitano la Cina e si rivolge a tutti i cinesi con messaggi di riconciliazione e convivenza pacifica.