L’artista americana propone, in questa galleria, una serie di scatti che la ritraggono nelle vesti di benestanti matrone di mezza età. Le maschere indossate dalla fotografa-modella mostrano delle crepe, impercettibili a prima vista, ma che strisciano nell’inconscio dello sguardo esterno per comunicare una sensazione di disfacimento nelle vite apparentemente perfette dei soggetti ritratti, dalle macchie sulla pelle di mani inanellate al trucco eccessivamente pesante di un viso che si sforza di non crollare.
Cindy Sherman ha consacrato la sua carriera, iniziata nel 1976 in un loft di New York, alla fotografia: decisa a lasciar perdere la pittura, a cui aveva dedicato parte della sua formazione allo State University College di Buffalo, la Sherman fonda assieme a Robert Longo e Charles Clough la Hallwalls, uno spazio indipendente che rappresenterà il trampolino di lancio dei suoi celebri auto-scatti. Nonostante alcune occasionali puntate nel mondo del cinema (con il film horror “Office Killer” del 1997), la grande passione rimarrà sempre la fotografia. Il successo la raggiunge quasi subito, e oggi i suoi scatti sono valutati centinaia di migliaia di dollari: nel 1996 il MoMA di New York ha acquistato una delle sue serie per un milione di dollari.
Il suo nome è legato a una radicale reinvenzione del concetto di autoritratto, stravolto e piegato alla rappresentazione a 360° dell’universo femminile contemporaneo. Modella di gran parte dei suoi scatti, la Sherman ha dato vita nel corso della sua carriera a un’interminabile galleria di fotografie che sono solo superficialmente autoscatti. L’incredibile capacità di metamorfosi e di mimesi, associata all’impersonalità assoluta delle didascalie delle foto, intitolate per la maggior parte “Untitled” più un numero di serie, rendono i suoi autoscatti uno strumento attraverso il quale l’artista esplora vari aspetti del femminile contemporaneo.
Dalla sua collezione forse più nota, la “Untitled Film Stills”, in cui l’artista si ritrae nei ruoli di diverse attrici di B-movies, alla serie “History Portraits Sherman”, in cui gioca invece con gli archetipi femminili della pittura, la Sherman svuota il suo corpo della sua individualità e lo usa alla stregua di una tela su cui imprimere significati e rappresentazioni nuove e specifiche.
Al centro della sua ricerca artistica è il confine labile tra reale e artefatto, tra persona e maschera, un’ambiguità che l’artista utilizza per rivolgere uno sguardo impietoso e paradossalmente documentaristico sulla realtà e le sue distorsioni.