A tutti quegli scettici che dopo la vittoria di Obama dicevano che nulla sarebbe cambiato veramente, e che il fascino pop del neo presidente non era il simbolo di un nuovo immaginario politico e culturale negli Stati Uniti, le due donne che nell’ultima settimana hanno conquistato le prime pagine di tutto il mondo forniscono delle eloquenti smentite. E’ di pochi giorni fa, infatti, la nomina di Sonia Sotomayor, ispanica e liberal, alla Corte Suprema, il più importante organo giuridico statunitense, una nomina voluta direttamente da Obama.
Ma forse ancora più importante è la scelta compiuta dalla comunità ebraica di una delle più importanti sinagoghe del Sud, la Congregation Bayt Shalom di Greenville, nella Carolina del Nord. Qui, tra un paio di mesi, arriverà la prima donna nera rabbino del mondo. Alyssa Stanton, 45 anni, cresciuta in una famiglia pentecostale di Cleveland, ha scoperto la fede ebraica attorno ai vent’anni, iniziando un percorso di studio, formazione e crescita spirituale che l’avrebbe portata alla conversione prima, e alla fine al rabbinato. La Stanton, madre di una figlia adolescente adottata da piccola, vive con grande entusiasmo questo evento, consapevole del significato che la sua vicenda assume in una delle comunità più tradizionalmente “monoetniche” degli Stati Uniti.
Anche questa comunità è oggi però in grande fermento, e riflette i mutamenti sociali e culturali che gli Stati Uniti vivono ormai da diversi decenni. Secondo alcune indagini, circa il 20% degli ebrei americani oggi appartiene a minoranze – neri, asiatici, latinos. Una mescolanza frutto di matrimoni, adozioni, ma anche di conversioni individuali.
Alyssa Stanton si è avvicinata alla fede ebraica non per sposare un ebreo, ma perché attratta dall’universo culturale, spirituale e sociale rappresentato dall’ebraismo e dalla sua storia millenaria. Quando, tra due mesi, prenderà il suo posto sul pulpito della sua sinagoga, gli afroamericani e, soprattutto, le afroamericane, avranno abbattuto un altro muro, infranto un altro tabu. Ancora un tassello del mosaico che compone il motto obamiano, yes we can.