A volte nei paesi nordici il welfare state finisce per strafare. E allora può capitare come in Svezia, dove si sta talmente bene in carcere che ti danno persino uno stipendio per starci, e va a finire che gli immigrati dell’est Europa, pure la brava gente, decidano di commettere reati perché preferiscono stare in galera lì piuttosto che liberi nel proprio paese. Le ultime bizzarre divagazioni della Svezia in tema di assistenza sociale hanno come protagonista il partito Feministiskt Iniziative.
Premessa. Mentre da noi in Parlamento gli uomini rimandano al mittente la proposta di legge sulle “quote rosa”, a Stoccolma le signore costituiscono la metà del Parlamento. Per la precisione, le elette sono il 46%, in Italia solo l’11%. Le ministre sono undici e le donne occupano a tutti i livelli le stanze dei bottoni della politica e degli affari. Rappresentano la metà della forza lavoro complessiva e il tasso di disoccupazione femminile è più basso di quello maschile. Quando fanno un figlio stanno a casa quasi un anno e mezzo. Tra poco avranno una regina, e avrebbero avuto anche un Primo Ministro (in Anne Lindh) se non l’avessero drammaticamente accoltellato mentre faceva la spesa.
Eppure in Svezia nell’aprile dello scorso anno ha visto la luce un Partito Femminista che si candiderà alle elezioni politiche del prossimo settembre. Sin dai primi vagiti elettorali i sondaggi gli hanno aggiudicato il gradimento del 25 per cento dei votanti e l’8% delle intenzioni di voto. Ma cos’altro vogliono le donne svedesi? Basta scartabellare i punti del programma del Partito di Iniziativa Femminista per farsi un’idea, e con l’occasione anche quattro risate, converrete:
1) Tassare alla nascita tutti i bambini maschi. Poiché gli uomini a parità di incarico guadagnano il 25 per cento in più delle donne devono restituire preventivamente la somma che poi avranno a causa dei loro privilegi.
2) Ristabilire immediatamente la regola “equal pay for equal work” tra uomini e donne.
3) Eliminare i nomi sessuati: i bambini dovranno avere dei nomi neutri in modo che possano decidere loro, raggiunta la maggiore età se si sentono maschi o femmine.
4) Obbligare gli uomini a stare a casa otto dei sedici mesi accordati dallo Stato per la paternità.
5) Abolire il matrimonio, sostituito con un codice di convivenza civile che non faccia riferimento al genere e al numero delle persone coinvolte (esclusa la poligamia).
6) Gli uomini nei gruppi direttivi devono essere al massimo il 25 per cento.
7) Approvare una legge per cui nessuna donna deve percorrere più di quindici minuti di strada a piedi per raggiungere un servizio essenziale.
8) Riscrivere la legge sulla violenza sessuale: non è vero che la donna offesa deve dimostrare di aver resistito. Non basta fornire un silenzio assenso all’atto sessuale ma deve farne esplicita richiesta.
9) Aprire un’inchiesta governativa che spieghi come mai arrivano più tardi le ambulanze quando a è una donna ad avere un infarto.
10) Abolire la monarchia.
Come si può capire da certune esaltazioni del programma (perlomeno ai punti 3-6-7), o da altre paranoie persecutorie (punto 9), nel giro di pochi mesi dalla sua fondazione l’ala radicale ha preso il comando delle operazioni nel Partito di Iniziativa Femminista. Il Femminismo garbato è stato spazzato via dal Femminismo corazzato che è sceso in campo a mezzi cingolati spiegati contro “il governo eterosessuale borghese dei maschi dominanti”.
Iniziativa femminista si è trasformato in un partito omosessuale, bisessuale, transessuale. In estate sul primo canale tv è andato in onda il documentario “The gender war” (La Guerra di Genere), in cui gli uomini erano definiti animali, e in altri modi non esattamente cordiali. L’ala moderata del partito non ha gradito granchè, ha provato ad alzare la voce, ma intesa la mala parata ha battuto in ritirata. “In sei mesi la parola “femminista” è diventata in Svezia un epiteto offensivo. Siamo colpite da un antifemminismo di ritorno”, hanno affermato quattro delle fondatrici prima di abbandonare la barca, che peraltro pare affondare secondo gli ultimi sondaggi. Le intenzioni di voto sarebbero infatti sprofondate all´1,3 per cento.
In attesa di avere una lista dei nomi neutri con cui registrare all’anagrafe i propri figli non resta che ripassare le vicende di Cristina di Svezia per capire le radici del femminismo svedese. Regina a 28 anni, innamorata (e fidanzata) di una sua dama di corte, nel 1654, a 28 anni, preferì abdicare piuttosto che sposarsi. L’icona dell’Iniziativa Femminista.