“Per sempre “, finché malattia non ci separi: secondo uno studio pubblicato su Nature Communications e firmato da due ricercatori dell’università canadese di Waterloo e del Max Planck Institute di Lipsia, in Germania, dietro la monogamia non c’è l’amore eterno, ma una profonda paura delle malattie.
Secondo i ricercatori Chris T. Bauch e Richard McElreath il passaggio da poligamia a monogamia sarebbe scaturito, anche da un punto di vista storico, dal timore di contrarre malattie sessualmente trasmissibili come sifilide, clamidia e gonorrea. Attenzioni che non riguardano soltanto i diretti interessati in coppia, ma anche la prole, futura o presente.
Per capirne le ragioni occorre sfogliare brevemente i libri di Storia: la poliginia, cioè il legame degli uomini con più donne, era diffusa soprattutto nell’antichità, dalla Cina classica all’Indonesia, ma anche nell’Antica Roma, tra concubine e puer. Pratiche che sono in voga ancora in Africa, terra rinomata, ahimé, di malattie sessuali e infezioni.
Secondo Bauch e McElreath il motivo risiede dunque nella biologia: le malattie sessualmente trasmissibili costituivano un serio problema nelle prime società di agricoltori soprattutto perché non disponevano di rimedi adeguati. Nelle prime popolazioni di cacciatori e raccoglitori, era comune per pochi maschi monopolizzare l’accoppiamento con più femmine, così da avere molti figli. In queste piccole società, quelle costituite da poche decine di elementi, i focolai di infezioni sessuali avevano breve durata, senza particolari effetti sulla popolazione.
Ma se le dimensioni del gruppo crescono, come è avvenuto appunto con il passaggio all’agricoltura, la prevalenza di malattie sessuali sarebbe aumentata. Lo studio ha rivelato che quando le dimensioni della popolazione diventano più grandi, la presenza di malattie sessuali provocano un calo dei tassi di fertilità, soprattutto tra i maschi con più partner. Quindi altro che “e vissero sempre felici e contenti”, di fiabesca memoria: basta essere “sani”.