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La bellezza è negli occhi di chi guarda

Il detto ha un fondo di verità scientifico: il giudizio sulla bellezza risiede nel nostro cervello e dipende dal vissuto di ognuno di noi. Gli studi

Attore italiano
LaPresse
Un sorriso poco aperto, un volto asimmetrico, un naso troppo pronunciato. Cosa conta nel giudizio sulla bellezza? La soggettività di sicuro: ciò che è bello per me non lo è necessariamente per altri. Ma c’è di più. Uno studio pubblicato su Current Biology conferma ciò che il senso comune predica da tempo. La valutazione estetica di un volto non solo è strettamente personale ma è anche il risultato di esperienze uniche per ciascun individuo. Nel giudicare l’attrattività di un volto, i geni non contano: anche due gemelli monozigoti possono trovarsi in disaccordo su ciò che piace.
 
Esistono canoni di bellezza largamente condivisi, come nel caso di un volto simmetrico che attira nel 50% dei casi. La rimanente percentuale di giudizio dipende poi dal vissuto personale di ciascuno. Un team di ricercatori del Massachusetts General Hospital, dell’Università di Harvard e del Wellesley College (Boston) ha voluto indagare su cosa ci sia all’origine dei giudizi discordanti riferiti alla bellezza altrui.

 
In base alle risposte di 35 mila volontari a un test di valutazione estetica di volti online, hanno poi chiesto a 547 coppie di gemelli monozigoti e 214 coppie di gemelli dello stesso sesso, ma non identici, di giudicare l’attrattività di 200 volti. La preferenza estetica per un volto o l’altro dipende da fattori ambientali e da esperienze altamente individuali che poco hanno a che fare con la famiglia d’origine. Scuola, quartiere in cui si è cresciuti o esperienze in comune non c’entrano: a costruire i nostri canoni estetici sono le interazioni sociali altamente specifiche come quelle con amici e partner, i volti apprezzati sui social media o in tv, il viso del primo fidanzato/a. 
 
Semir Zeki, neurobiologo dell’University College di Londra che da anni cerca di rispondere a domande fondamentali sull’essenza umana servendosi degli strumenti della scienza, scoprì che la bellezza è tutta negli occhi di chi guarda e il nostro cervello possiede un concetto astratto del bello. Nel 2011 condusse esperimenti su 21 volontari, pubblicati sulla rivista PloS One, in cui il ricercatore aveva dapprima chiesto ai partecipanti, tutti di etnia e provenienza socioculturale diversa, di esprimere giudizi su alcune opere d’arte visive e musicali classificandole come belle, indifferenti o brutte. Successivamente analizzò i volontari con una risonanza magnetica funzionale mentre guardavano o ascoltavano queste opere, registrando l’attività cerebrale. Il risultato fu che quando erano di fronte a un’opera giudicata bella, si accendeva sempre la corteccia cerebrale orbito-frontale (oltre alla corteccia visiva o uditiva, a seconda che l’opera fosse pittorica o musicale); se l’opera era “brutta”, non si rilevava invece un’attività cerebrale più spiccata in un’area specifica. E c’è pure un altro dato curioso: anche il nucleo caudato, una zona molto profonda del cervello, si attivava di più di fronte a opere belle. E questo nucleo è “acceso” anche dall’amore romantico, a indicare una sorta di correlazione su basi neurali fra bellezza e amore.