Un segno dei tempi. O una risposta probabile alla crisi dei mestieri qualificati. Per i quali si è studiato, faticato nelle università e ci si è poi ritrovati a fronteggiare la scarsezza dei posti di lavoro e ad un’offerta troppo ampia rispetto alla domanda effettiva. E allora si ripensa il concetto di quotidianità, di stanziamento – non più urbano ma campagnolo – e del ruolo della donna all’interno di un’organizzazione tradizionale come quella dell’imprenditoria agricola.
Come certifica uno studio condotto da Coldiretti dal titolo “Più lavoro in agricoltura dall’innovazione – Missione cambiamento: le risposte dei giovani agricoltori”, nel 2015 sono aumentate del 76% le ragazze italiane under 34 che hanno scelto di lavorare indipendentemente in agricoltura come imprenditrici agricole, coadiuvanti familiari o socie di cooperative agricole.
LEGGI ANCHE: LA LOIRA A DUE RUOTE
Una percentuale decisamente rilevante se confrontata con quella maschile che si attesta intorno al 27% che dà una fotografia reale di come circa 60 mila nuovi contadini, guardino al settore senza pregiudizi e con un’importante desiderio di innovazione. E sono più donne che uomini.
Soprattutto, viene spezzato il circolo – positivo di certo – che prevede che i giovani diano continuità all’azienda famigliare senza trovare, in assenza di un’eredità imprenditoriale, un vero e originale appeal nel settore. Infatti, secondo lo studio, i cosiddetti agricoltori di prima generazione sarebbero in sensibile aumento.
E secondo un’analisi della Coldiretti/Ixe’, tra le new entry giovanili nelle campagne, ben la metà sarebbe laureata, il 57 per cento ha fatto innovazione, ma soprattutto il 74 per cento è orgoglioso del lavoro fatto e il 78 per cento sarebbe più contento di prima. L’azione femminile infine si rende protagonista di un business affascinante che tra tradizione e sviluppo ritaglia nuovi ruoli e mestieri per le donne.