Nell’immaginario collettivo indossare un paio di occhiali equivale ad apparire un po’ più intelligente. E gli elementi che rafforzano questo concetto sono riscontrabili nella realtà di tutti i giorni. Nei film, dove spesso il personaggio dotato di un quoziente intellettivo superiore indossa gli occhiali. Così come in tv, dove la bella protagonista di uno spot interpreta la manager avvenente in grado di tener testa agli uomini. C’è addirittura chi usa gli occhiali sul lavoro pur non avendone effettiva necessità. Ma solo per dare di sé un’immagine più in linea con il proprio ruolo professionale.
Esistono poi alcune teorie legate alla correlazione negativa tra la vista e l’essere intelligente. Secondo alcune chi vede poco è costretto a stare più vicino e davanti agli altri. Finendo per concentrarsi di più e ad apprendere con maggiore efficacia. Altre ipotesi puntano su questioni di natura sociologica. Gli occhiali sono un oggetto estraneo, che in fondo rende diversi dagli altri. Per cui si tende a sottrarsi alle relazione interpersonali e si dedica più tempo allo studio. Per preferire, ad esempio, la strada accademica rispetto a quella sportiva.
Intelligente per la scienza
Secondo la scienza invece la correlazione vista-intelligenza avrebbe un fondamento genetico. Uno studio dell’Università di Edimburgo ha analizzato i dati di un campione molto ampio di persone. Trecentomila individui di età compresa tra 16 e 102, tra europei, nordamericani e australiani, che hanno preso parte ad uno delle più grandi ricerche sulle capacità cognitive. Lo studio ha evidenziato come siano 148 le regioni del DNA collegate alle funzioni cognitive. E che nel 30 % dei soggetti con elevate capacità genetiche si concentra un’alta probabilità genetica di avere una cattiva vista.
Per cui, stabilito che gli occhiali sono a giusta ragione sinonimo di intelligenza, vale la pena sottolineare che la ricerca ha fissato un altro obiettivo. Quello di capire in che modo la genetica possa individuare i meccanismi di deterioramento delle funzioni cognitive del cervello. E combattere malattie neurodegenerative sempre più diffuse,come l’Alzahimer ed il Parkinson.