Proprio mentre sta per trasferisti nello studio legale che gli garantirà ricchezza e fama, l’avvocato William Beachum (Ryan Gosling) si trova invischiato in un caso che lo metterà con le spalle al muro: l’architetto navale Theodore Crawford (Antohny Hopkins) ha sparato alla moglie Jennifer (Embeth Davidtz), rea di essergli stata infedele, ed ha deciso di difendersi da solo. La pubblica accusa è rappresentata proprio da Beachum, che ben presto scopre tutte le macchinazioni dell’accusato, il quale ha escogitato un piano astuto per far cadere tutte le prove contro di lui. Quando poi si viene a sapere che il poliziotto che l’ha arrestato era in realtà l’amante della moglie, la scarcerazione dell’imputato appare impossibile da evitare. Beachum perde così una causa importantissima proprio nel momento in cui gli era meno consigliabile farsi sbeffeggiare in quel modo…
In un momento di cinema in cui il thriller sembra andare verso esigenze spettacolari più simili a quelle dell’action fracassone, questo interessante “Fracture” (questo il titolo originale, ovviamente ignorato dalla distribuzione italiana) risulta quasi un lavoro d’altri tempi, perché si concede uno stile narrativo molto compassato ed attento alle atmosfere, molto più che al ritmo della storia. Tale scelta è dovuta soprattutto alla possibilità di avere in scena un duetto di attori di carisma assoluto, che recitano quello che potremmo definire un vero e proprio confronto generazionale; un decano del grande schermo come Anthony Hopkins di fronte all’attore forse più promettente della sua generazione, quel Ryan Gosling già candidato all’Oscar per il bellissimo e purtroppo inedito “Half Nelson” (id., 2006). I due istrioni ovviamente non deludono, ma se Hopkins inizia davvero a gigioneggiare un po’ troppo per essere totalmente convincente, Gosling sciorina una prestazione ancora una volta superlativa, grazie anche ad un personaggio che subisce un arco narrativo convincente e molto preciso.
Come detto, il regista Gregory Hoblit da parte sua lascia ampio spazio ai due protagonisti, padroneggiando la materia con una regia molto distesa ma al tempo stesso piuttosto solida. In questo modo “Il caso Thomas Crawford” scivola via come un giallo old-style, suadente nell’impostazione ed affascinante nell’evolversi della trama più propriamente thriller. Certo, qualche ovvietà affiora qua e là durante il film, ma tutto sommato ci si può stare se ci si lascia ammaliare dalla bravura degli interpreti.
Costruito come un lungometraggio di quelli che si realizzavano nel periodo classico di Hollywood, quest’ultimo film di Hoblit molto sembra dovere ai lavori più distesi di Alfred Hitchcock, dove l’istrionismo registico lasciava spazio al divertimento per l’intreccio. Una pellicola di certo non monumentale, ma che si lascia vedere con interesse, grazie soprattutto alla bravura di Ryan Gosling.
Chiudiamo con una curiosità: perché è stato scelto di intitolarlo “Il caso Thomas Crawford” se il protagonista si chiama Theodore, o Ted quando viene chiamato con il suo diminutivo?