Ha quasi 42 anni la splendida attrice di Cleveland, la dea nera interprete di successi commerciali ma anche di pellicole di spessore. E chi lo direbbe? A vederla non sembra passato un solo giorno da quel “Monster Balls” (Marc Forster 2001) che le valse la statuetta di L.A., oltre che l’Orso di Berlino, conquistandole cachet milionari e l’amore di un pubblico eterogeneo. Un Oscar che, tra le sue dita color nocciola, ebbe il sapore del primato, perché – appunto – per la prima volta, premiò un’attrice afro-americana. Giusto corollario di una vita in cui Halle Berry non è certo stata a guardare.
Fin dagli anni della Bedford High School, dove emerge come cheerleader e reginetta al ballo del college, si distingue nel ruolo di capoclasse, editore del giornalino della scuola e membro della società d’onore. Risultati che ne lasciano presagire il successo, nutrito di talento oltre che, è evidente, di una rara bellezza. Saranno infatti le vittorie di Miss Ohio USA, Miss Teen All American, Miss USA e Miss Mondo, a consegnarla ad un mestiere che andrà arricchendosi di ruoli impegnati.
Ma né le capacità professionali, né le virtù esteriori le risparmiano i fallimenti che segnano le tappe più dolorose della sua vita. Un primo matrimonio, quello del ‘92, con David Justice, il giocatore di baseball, violento e traditore, da cui divorzia 4 anni dopo, ed un secondo, nel 2002 col musicista Eric Benet, naufragato nel 2006. Ecco le esperienze che, a dispetto della Bond girl (“Agente 007-La morte può attendere”), di Tempesta (“X-Men”) e di Catwoman (che le frutta il “Razzie Award” come peggiore attrice), alimentano interpretazioni intense e dolorose.
L’ultima fatica la vede al fianco di Benicio Del Toro (reduce dai trionfi di Cannes per l’interpretazione del Che) nel film diretto da Susanne Bier “Noi due sconosciuti”. Portatrice di uno stile dogmatico, asciutto, di scuola danese, la regista prende Berry, la spoglia e, senza privarla della bellezza ancor più visibile senza la maschera del trucco, la mostra segnata dal dolore. Quello per la morte del marito, che la spinge all’incontro con l’amico fedele di lui, quasi odiato perché tossicodipendente o, più semplicemente, per gelosia. Una parte complessa, profonda, in cui la testimonial di Revlon e Versace dimostra ancora una volta di saper recitare. Attraverso l’esperienza umana, esprime un vissuto senza fronzoli, privo di sbavature, restituendo un personaggio rotondo, di cui sfrutta il cambiamento per rendere l’intera gamma dei sentimenti, senza l’ombra di retorica.
Così la 2.333esima stella del Walk of fame, sfoggia sul set anche un innato istinto materno. Il rapporto con i due piccoli attori, interpreti dei figli di Audrey, sembra presagire un futuro già scritto ma di cui nessuno, lei compresa, è ancora al corrente. Qualche mese dopo (16 marzo 2008), sarebbe infatti diventata mamma di Nahla, figlia del modello canadese Gabriel Aubry, e avrebbe inaugurato un altro aspetto di una femminilità che sfonda i confini delle classifiche di “People”.