È uno di quei rari esempi d’intellettuale schiva, sobria, che del successo rifiuta le pose, conservando solo la parte migliore, l’amore di un pubblico proveniente da tutto il mondo che divora i suoi libri. E lei, Anna Gavalda, nata nella periferia parigina nel 1970, ricambia l’affetto, firmando – una per una – centinaia di dediche affettuose sulle pagine di “La consolante” (Le Dilettante 2008) presentato all’ultimo salone del libro e in uscita in Italia a settembre.
Lettori d’ogni età e ceto sociale si lasciano catturare dal suo talento nel raccontare il disagio di personaggi, forti, autentici, alla ricerca della felicità. Non lo avrebbe mai detto la serie d’editori francesi che, sul finire dei ‘90, si vide presentare la prima raccolta di novelle, messe insieme da Anna ancora ventenne, mentre muoveva i primi passi da insegnante di liceo. La rifiutarono e, nonostante i numerosi premi vinti a livello locale, non riconobbero le perle di saggezza quotidiana che aveva tra le mani. Leggere, ironiche e venate di malinconia.
E come accade a molti artisti incompresi d’iniziare dal basso, Anna incappa in una casa editrice dal nome significativo: “Le Dilettante”. Questa le dà una chance pubblicandole il libro in 2.000 copie e chiamandolo “Vorrei che da qualche parte ci fosse qualcuno ad aspettarmi”. Quella speranza, già espressa dal titolo, si realizza in breve tempo. L’opera vende 1 milione e mezzo di copie ed è subito tradotta all’estero.
Non importa quanti colossi editoriali d’ora in poi si sarebbero precipitati a bussare alla sua porta, lei sarebbe rimasta fedele al piccolo editore che avrebbe sfornato le successive opere a tiratura sempre più alta. “Io l’amavo”(2002), “Insieme, e basta” (2004) ed “Oggi mi va di sognare” (2005) moltiplicano le vendite che superano i 5 milioni in una manciata di anni.
Oggi la scrittrice consegna alle patrie lettere una quarta creatura, edita in Italia con il titolo di “Finalmente a casa”. Tra le righe s’intuiscono gli stessi valori che nutrivano le opere precedenti. Nella storia di un uomo sulla cresta dell’onda, emerge l’alter ego di Anna, quel che sarebbe stata se avesse permesso al successo di strapparla dalla vita vera, dagli aspetti più autentici della propria personalità. L’esistenza insegna a scegliere e spesso si sbaglia, optando per le occasioni irripetibili, quelle ‘da non lasciarsi scappare’, mentre il meglio scivola via insieme alla parte più onesta di se stessi. Così l’autrice sceglie per lui, Charles, il protagonista in crisi esistenziale. Mossa dalla fiducia verso la metà buona dei sentimenti umani, lo salva e lo riporta, appunto “a casa”.
Sarà per questo, forse, che il pubblico l’adora, per la funzione consolatoria delle sue storie che spinge a voltare più di 600 pagine senza nemmeno prendere fiato. E per lo stesso motivo una frangia della critica, quella che ha difficoltà a rapportarsi con gli artisti dalle “buone intenzioni” – come se l’arte fosse solo specchio di quel che di più marcio c’è nel mondo – la accusa di buonismo. A coloro lei risponde, con la superiorità che la contraddistingue, che le analisi valgono a poco quando a parlare sono i milioni di lettori, soprattutto lettrici, che le somigliano e che prenotano con mesi d’anticipo una copia del suo libro.