Un’altra figlia d’arte spunta alla ribalta, ma lei non vuol sentir parlare del suo illustre genitore, lo scrittore Arthur Miller (1915-2005), né tanto meno del celebre marito, il premio Oscar Daniel Day-Lewis (“Il mio piede sinistro”, “L’ultimo dei Moicani”). Conosciuto nel 1996 sul set de “La seduzione del male” (Nicholas Hytner, 1996), il bel Daniel getta un’altra ombra sulla scrittrice e regista che emergerà piuttosto tardi, ma con tutti gli onori che merita il suo doppio talento.
Nata a Roxbury (Connecticut), nel 1962, trascorre un’infanzia distratta e una giovinezza sognatrice, collezionando scritti che non trova il coraggio di far pubblicare. Temendo il paragone con l’imponente figura paterna, devia verso la pittura, a cui si era appassionata negli anni di Yale, e, in seguito, sulla recitazione (“A proposito di Henry”, “Giochi d’adulti”). Il cinema funziona da ingresso secondario, dandole la possibilità di impegnare la sua penna nella stesura di sceneggiature. È del ‘95 la sua prima, “Angela”, di cui cura anche la regia, con gran successo di critica ma scarso al botteghino.
L’incontro con Day-Lewis le dà improvvisa notorietà ma lei, tra le mogli più invidiate di Hollywood, non ci sta proprio a vivere di riflessi. Così si getta a capo fitto sulle pagine di “Personal Velocity” che, pubblicato nel 2001, finalmente mette in luce la sua indipendenza artistica. Ma il successo personale non le fa dimenticare le passate frustrazioni, di cui Miller J fa dono all’eroina del suo ultimo libro, “Le vite private di Pippa Lee “ (Fandango Libri 2008). Ha 50 anni, solo 5 più di lei, è moglie felice ed agiata, madre amorevole e formidabile padrona di casa. Ha un solo difetto: aver dimenticato se stessa vivendo solo il suo ruolo verso gli altri.
Una tardiva presa di coscienza, avvenuta grazie a crisi di sonnambulismo e scorpacciate notturne, la porta a riflettere sulla ragazza che era, scapestrata e ribelle, e sulle scelte che hanno mutato il corso della sua vita. Con linguaggio agile e secco, che ricorda quello di papà Arthur, Rebecca sembra riflettere su cosa sarebbe stato il proprio futuro se non si fosse imposta a se stessa. E sebbene ne mantenga il distacco, non giudica la sua creatura di cellulosa che pur cambiando radicalmente ha in fondo conservato la propria identità. Al momento del bilancio, ciò che pesa di più è l’aver scelto secondo coscienza.
La stima per il personaggio di Pippa è tale da spingere l’autrice ad affidarsi la regia (oltre che i dialoghi) dell’adattamento cinematografico del libro, in uscita nel 2009. È già pronto il cast stellare (Robin Wright Penn, Blake Lively, Winona Ryder, Keanu Reeves, Julianne Moore, Monica Bellucci), tra cui non compare il consorte Daniel con il quale aveva già lavorato in “La storia di Jack & Rose” (2005). Alla base, ci sarebbero ragioni d’ordine anagrafico: troppo giovane per alcuni ruoli, troppo maturo per altri. Ma, aldilà delle apparenze e delle passate collaborazioni tra il divo e sua moglie, che dichiara di voler ripetere, non stupirebbe se a monte ci fosse l’ennesima dichiarazione d’indipendenza di Rebecca, in una Hollywood in cui tra l’altro le quote rosa sono ancora ferme ad uno scarso 5%.