Se Kurt Jakson si è meritato l’attenzione di prestigiose gallerie britanniche come “Lemon Street”, “Truro” e la londinese “Messum’s” di Cork Street, non è certo perché i suoi quadri hanno davvero svuotato il mondo dei suoi rifiuti. Gesti simbolici, questo sì, che s’impongono polemicamente al proprio tempo, rappresentandolo, come ogni artista deve fare da quando, all’arte, non è più richiesta la mera riproduzione della realtà.
Nato a Blandford nel Dorset inglese nel 1961, sviluppa fin da giovanissimo una spiccata sensibilità per la natura, studia zoologia ad Oxford mentre coltiva la pittura open air immerso nelle atmosfere della campagna locale. Una passione che nel 1983 lo spinge a trasferirsi nella bucolica Cornovaglia, dove oggi si dedica ai suoi dipinti-denuncia, che riproducono i disastri causati dall’uomo sulla natura. Non è un caso che Jackson abbia collaborato con Green Peace, con un’esperienza da Artist in Residence sull’ammiraglia “Esperanza”, e che abbia partecipato attivamente alla realizzazione dell’Eden Project (la più grande serra del mondo situata nel cuore della Cornovaglia).
Un impegno a tutto tondo che si riversa nelle casse di numerose associazioni ambientaliste, a cui Kurt devolve il ricavato del suo già utile lavoro. Dalla Survival International a Green Peace, da Oxfam a VSO, passando per Water Aid, Cornwall Wildlife Trust e The Woodland Trust.
Ma la sua opera di denuncia non si limita solo all’approccio tematico, ma precipita sul mezzo attraverso cui l’arte di Jackson trova espressione. Gli infiniti landscape, per lo più dedicati alla Cornovaglia e alle Isles of Scilly (arcipelago della Cornish peninsula), vibrano su tele eco-sostenibili su cui incolla reperti di realtà. Pezzi di rete, bottiglie, suole, objet trouvè, testimoni della sporcizia dilagante che il pittore recupera come monito per l’osservatore. E questi, di fronte a tale contrasto non può che prendere atto di una bellezza che resiste nel presente ma geme sotto le minacce di un futuro troppo vicino.
Per info: www.kurtjackson.co.uk