L’arte ha sempre avuto il compito di raccontare l’esprit du temp attraverso le immagini o i segni, le forme scultoree o, come adesso, attraverso fotografia e video, mezzi e linguaggi espressivi di nuova generazione.
Ma i linguaggi, le sintassi con le quali gli artisti “parlano” al mondo, sono legate ai particolarismi locali oppure esprimono i sentimenti di tutti e indagano fenomeni collettivi internazionali? E’ una domanda irrisolta ancora oggi, perché la differenza tra arte di qualità e arte di semplice fruizione, sta anche in questa distinzione.
Nel senso che alcuni artisti inquadrano così fortemente i problemi dei nostri giorni, che non hanno bisogno di estendere il loro occhio al mondo intero, perché riescono a fotografare così profondamente alcuni elementi di cui l’Uomo vive a prescindere da dove nasce e vive, che l’opera o il progetto risultano universali per definizione.
Quando invece, come accade da un paio d’anni, si riaffacciano sulla scena artisti dell’Est e dell’Estremo Oriente, dopo anni di silenzio che però non vuol dire inattività, allora la faccenda si complica, perché scopriamo che i media occidentali ci avevano raccontato solo una parte di ciò che realmente accadeva agli animi e alle coscienze di quei popoli.
Da sempre la Russia, la Cina e l’India, per citare i Paesi più grandi (ma l’esempio non è esaustivo), hanno prodotto arte e artisti di grandissima capacità indagatoria e legati fortemente ai simbolismi sacrali delle rispettive civiltà di provenienza; civiltà, a loro volta, antichissime, colte, con radici profonde nel tessuto sociale, religioso e culturale del Paese. Basti pensare a Marc Chagall o al Suprematismo Russo, ad Anish Kapoor o a Chen Zhen.
In questo momento il mondo è tutto intento a rincorrere i nuovi artisti cinesi; non ci sono musei che bastino a contenere le mostre e le installazioni di questa nuova generazione di liberi messaggeri delle culture orientali, ben coniugate con gli insegnamenti del Rinascimento italiano.
Nel 1999 e nel 2001, Arald Szeeman, curatore della Biennale di Venezia, presenta alcuni artisti cinesi; è una sorta di scandalo, ma qualcosa si scuote…
Si svegliano i musei internazionali: nel 2003 comincia il Centre Pompidou, il museo più importante d’Europa, con la mostra “Alors, la Chine?”, che propone i lavori di 18 artisti cinesi (molti dei quali presentati qualche mese prima da una galleria privata a Milano che ancora oggi è la galleria più importante d’Europa per l’arte contemporanea cinese, in una mostra che sembrava una Biennale, con 111 opere, solo che era finanziata privatamente dai proprietari…); in quello stesso anno continua il Whitney Museum di New York con una mostra personale dedicata a Zhou Tiehai, artista neo pop con fortissimi ed espliciti richiami a Michelangelo, Leonardo e Raffaello Sanzio. L’exploit prosegue con musei del calibro del PS1 (NYC), del MoMA, dei vari Guggenheim e, quest’anno, i lavori di questo selezionato gruppo di artisti approda in tutte le sedi più attente, da sempre, alle innovazioni culturali: la Red Mansion di Londra, Palazzo Bricherasio di Torino, lo Spazio Oberdan di Milano, la Kunsthalle di Berna, la Biennale di Praga e altre ancora.
Uno dei motivi del successo di questa nuova generazione, risiede nella loro profondissima conoscenza e nel loro morboso attaccamento alle regole e alle poetiche dei nostri maestri rinascimentali, esempi di costruzione dell’opera e di composizione del messaggio percettivo che ancora oggi restano insuperati (ideologicamente) ma che i cinesi hanno saputo invece rinnovare e interpretare con linguaggi ed espressioni contemporanee, senza inutili e ruffiani ammiccamenti al passato, (come fanno molti degli artisti italiani per compiacere il pubblico), sfidando le leggi del tempo e quelle della necessaria educazione del fruitore, che deve assolutamente riuscire ad abbandonare i lidi in cui si sente sicuro per avventurarsi in spazi e culture estranee e ricavarne gli stessi, autentici valori che Marco Polo trasferì ai suoi contemporanei: la comprensione delle proprie vocazioni attraverso l’analisi delle differenze, senza paura di confronto, di dialogo, di conoscenza trasversale.
L’Uomo è nomade per natura, semplicemente perché è curioso e la curiosità alimenta l’indagine, la ricerca, la voglia di esplorazione. Per fortuna.
Nelle opere degli artisti orientali, oggi, dai Balcani alla Cina, trovate la storia dell’Uomo e le sue tensioni al viaggio, alla comunicazione, allo scambio. Sono i nostri valori raccontati con la sapienza di chi ha saputo conservare un barlume di spiritualità e di conoscenza delle fondamenta umane.
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Francesco Cascino, appassionato di arte moderna e contemporanea, partecipa, come esponente attivo, alle attività di un network internazionale di professionisti che operano nel settore delle arti visive e nella consulenza per la progettazione e l’acquisizione di collezioni d’arte contemporanea.
Per maggiori informazioni: www.francescocascino.com