L’instancabile Franco Battiato anche quest’anno ci delizia con un album di raffinate cover e riedizioni di vecchi successi. Trainato dal clamore di un omonimo, polemico singolo che ha fatto discutere per il suo contenuto amaro fuori da ogni metafora, l’ultimo album del cantautore catanese dall’enigmatico titolo Inneres Auge non brilla forse per originalitá, ma riesce come sempre a creare atmosfera.
Sono solo tre gli inediti, in questo gioiellino targato Universale della durata di appena mezz’ora: la giá citata Inneres Auge, nella quale la melodia semplice contrasta con un testo impegnato, in una linea ideale che segue le ormai storiche Up patriots to arms, appello contro la stupiditá musicale, e Povera Patria, canto stanco e rassegnato sull’Italia rovinata da Tangentopoli e minacciata dalla mafia.
Ma se quest’ultima (che risale al 1991) chiudeva senza speranze, con il significativo verso La primavera tarda ad arrivare, Inneres Auge contiene lo spunto risolutivo: Battiato si rivolge al suo occhio interiore (questo significa infatti l’espressione tedesca che da’ il titolo all’album) per trovare una via d’uscita – che sa di misticismo – al quotidiano orrore del potere. Di sicuro la filosofia buddista, della quale il cantautore è un fervente ammiratore, ha molto a che vedere con questa presa di posizione. E con quella di Tibet, altro inedito in lingua inglese che denuncia l’occupazione che opprime da decenni il popolo tibetano. È cupa e in dialetto siciliano U’cuntu, il terzo brano mai pubblicato. È invece una cover – ed è probabilmente la canzone piú bella di tutto l’album – Inverno, rarefatto omaggio ad uno dei piú grandi autori della tradizione musicale e poetica italiana, Fabrizio De André.
A queste novitá si aggiungono altri 6 brani, che sono rielaborazioni di una produzione ricchissima e notevole che pensiamo regga con stile il passare del tempo e giustifichi quello che qualche malalingua ha chiamato con malizia e senza mezzi termini… riciclaggio.