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Il profeta. La spietata pellicola di J. Audiard

Dopo i successi ottenuti con “Sulle mie labbra” e “Tutti i battiti del mio cuore”, finalmente nella sale l’ultima spietata pellicola di Jacques Audiard

Locandina

Mancato per poco l’Oscar come miglior film straniero, la pellicola francese “Il Profeta“, promette di farsi strada nei cinema italiani. il film è diretto da Jacques Audiard, già autore di due film di successo come “Sulle mie labbra” e “Tutti i battiti del mio cuore“. La complessa “intelaiatura” della trama si svolge attorno ad una storia apparentemente semplice: Malik, arabo – francese analfabeta, senza prospettive reali di inserimento sociale, finisce in galera per scontare sei anni di detenzione a seguito di un’aggressione ad un pubblico ufficiale.

L’inizio potrebbe far pensare ad una classica storia di “prison movie”, in quello che è diventato ormai un genere cinematografico abbastanza inflazionato. Tuttavia il carcere si rivelerà una vera e propria scuola di vita: tra le sbarre il protagonista imparerà a leggere, scrivere ed esprimersi correntemente in tre lingue: arabo, francese e corso. L’apprendimento di questo ultimo idioma si deve al rapporto che Malik stringe, suo malgrado, con una banda di spietati boss della malavita: costretto ad entrare sotto la protezione dei corsi, il protagonista ne acquisisce linguaggio e codici sociali, diventando un membro attivo della comunità criminale. L’ “apprendistato” gli darà al tempo stesso gli strumenti per invertire le sorti della sua esistenza, facendogli infine risalire la piramide sociale interna al carcere.

La storia di Malik si consuma sullo sfondo di un conflitto culturale tutto interno alla società francese, dove il protagonista è l’emblema di un melting pot mal riuscito: Malik è di origini arabe e vive in Francia, ma non conosce le tradizioni islamiche, né tanto meno può sperare di integrarsi nel rigido sistema sociale francese. Paradossalmente il riscatto arriverà proprio sfruttando la sua peculiare condizione di marginalità (non arabo, non corso e molto poco francese) che gli consentirà di interagire senza esclusione con tutti gli attori in campo.

Se gli Academy Awards americani non hanno voluto riconfermare la nomination, i francesi si sono dimostrati invece molto più generosi: il film di Audiard si è aggiudicato ben nove premi César 2010, oltre ad un riconoscimento di tutto rispetto conferito dalla giuria di Cannes nel 2009. Il merito questa volta non va solo al regista: l’interpretazione del franco-algerino Tahar Rahim, alla sua prima esperienza significativa nel cinema, è impeccabile, così come non è da meno quella di Niels Arestrup, attore più consumato, che veste i panni del boss Luciani con un’energia ed un’espressività davvero magistrale.

I 149 minuti di pellicola al cardiopalma non abbassano neanche per un momento la soglia d’attenzione ed il film, al contrario, riesce a tenerci saldamente attaccati alla poltrona.

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