“In una nazione in lotta per la libertà, quattro donne cercano la speranza”. Ambientato nell’Iran del 1953, durante il colpo di Stato che depose il presidente democraticamente eletto, per ristabilire il regime dello Scià, “Donne senza uomini” racconta un episodio della storia iraniana decisamente poco trattato. La regista Shirin Neshat ha dichiarato come su questo periodo ci sia stata una sorta di amnesia collettiva, che impedisce ancora oggi di analizzare le conseguenze politiche di quanto avvenne in Iran ben prima della rivoluzione islamica di Komeini.
La storia ha come protagoniste Pegah Ferydoni (Faezeh), Anita Shahrzad (Fakhri), Shabnam Tolouei (Munis), Orsi Toth (Zarin); quattro donne che durante i giorni del colpo di stato, si ritrovano insieme sullo sfondo dei tumulti politici e sociali. Le loro vite, pur così diverse per età, cultura ed estrazione sociale, si intrecciano attorno ad uno splendido giardino di campagna. Questo spazio verde è una metafora della condizione dell’esilio, un’idea di spiritualità trascendente attraverso cui allontanarsi dall’oppressione. Come spiega la regista: “Per queste donne il giardino diviene uno spazio di libertà che riflette allo stesso tempo lo spazio dell’esilio, un luogo dove avrebbero potuto avere una seconda chance. Come l’ho avuta io, lasciando il mio Paese”.
La regista, che dall’età di 17 anni vive esule negli Stati Uniti, ha più volte levato la voce contro il regime dispotico del suo paese, dove l’opposizione viene ridotta al silenzio e i non allineati sono incarcerati: “Siamo terrorizzati per ciò che potrebbe accadere alle persone detenute. Perché questo governo vede la creatività come una minaccia. Arrestare Panahi, o altri registi celebri, è un modo di dire a tutti gli altri artisti ‘state buoni, non vi ribellate”. Il regista Jafar Panahi, Leone d’oro a Venezia per il suo “Il Cerchio”, è l’ultimo di una lunga serie di dissidenti attualmente rinchiusi nelle carceri patrie, in seguito all’ondata di protesta della “Rivoluzione Verde” del 2009. Tratto dal romanzo “Donne senza uomini” dell’iraniana Shahrnush Parsipur, il film si è aggiudicato il Leone d’argento per la miglior regia al Festival del Cinema di Venezia.
A questo premio si sarebbe forse dovuto aggiungere un altro riconoscimento per Martin Geschlacht, il direttore della fotografia che ne ha fatto uno dei film più curati degli ultimi anni. La pellicola è molto estetizzante e nelle immagini profondamente suggestive ogni inquadratura è una vera e propria opera d’arte. Il film si conclude con una dedica “a tutti quelli che hanno perso la vita nella lotta per la libertà e la democrazia in Iran, dalla rivoluzione costituzionale del 1906 al movimento verde del 2009”. Uno sguardo critico verso il passato, per continuare a sperare in un futuro migliore, dove la storia non si ripeta con drammatica ciclicità.