La differenza tra nutrirsi e saziarsi viene spesso presa sottogamba, o addirittura non contemplata. Eppure tra avere la pancia piena e ingerire tutte le sostanze di cui il corpo ha bisogno per essere sano c’è un mare di differenza. Non parliamo solo di cibo spazzatura, anche le più comuni verdure o cereali che consumiamo convinti di fare il pieno di vitamine, in realtà sono spesso depauperate. Ciò avviene a causa della produzione di massa, che utilizza sementi scadenti, non considera la stagionalità dei prodotti, conserva, pastorizza, congela, cucina: ogni procedimento di manipolazione finisce per togliere un piccolo tassello alle componenti nutritive di un alimento, fino ad arrivare sul nostro piatto quasi ‘vuoto’. Tutto questo si può limitare facendo la spesa con accortezza, scegliendo alimenti biologici, a filiera corta, di stagione, e mangiandoli possibilmente crudi. Ma non siamo nati sotto al cavolo, e sappiamo che la vita di tutti i giorni rende difficile una nutrizione davvero completa e bilanciata.
Ecco che nei paesi altamente industrializzati come Giappone, Inghiliterra e Stati Uniti già da qualche anno spopolano degli alimenti chiamati ‘functional food’, cibi che vanno ben oltre l’integratore. Non solo sono arricchiti con le sostanze fondamentali, ma hanno lo scopo di mirare dritto all’obbiettivo e risolvere una problematica: ad esempio esistono functional food specifici per abbassare il livello di colesterolo, altri per migliorare la flora batterica, alcuni addirittura per prevenire complicazioni nei nascituri come la spina bifida.
Questi ‘cibi funzionali’ sono veri concentrati di vitamine, minerali, aminoacidi e chi più ne ha più ne metta, ma il rischio che si trasformino in mera strategia di marketing è alto. Ecco che gli organismi preposti come la FAO e diversi organi regolativi del settore agroalimentare stanno definendo le norme di comportamento per le aziende. Esse infatti dovranno utilizzare slogan fondati e giustificabili: ciò siginifica che perché quel marchio di cereali venga considerato ‘functional’ occorre dimostrare scientificamente che è ricco di sostanze nutritive ma anche che queste vanno dritte ad agire nelle aree del corpo interessate. Inoltre devono evitare di tendere il tranello in termini di quantità: se un alimento riduce il colesterolo occorre anche specificare quanto se ne deve ingerire.
Legislazione a parte, in attesa della regolamentazione vediamo quali sono i più comuni functional food. Esistono diversi latti fermentati (yogurt) con colture probiotiche, indicati per il miglioramento della flora intestinale. Formaggi spalmabili e margarine che riducono il livello di colesterolo nel sangue. Cereali arricchiti di acido folico per prevenire complicazioni in gravidanza. Uova arricchite in acidi grassi Omega-3 i quali riducono il rischio di infarto. Barrette di cereali e panificati arricchiti di isoflavoni, nemici acerrimi delle cellule cancerogene e delle malattie cardiovascolari.
D’altronde il cibo è da sempre la migliore medicina per il benessere del corpo, e questi functional food altro non fanno che indirizzare il consumatore in modo più diretto sulla strada del benessere. Occorre però essere selettivi nell’acquisto e non fidarsi di ogni slogan saluter-salutista che leggiamo sulle etichette.