Se ne vedono ogni giorno di più: capita spesso di trovarsi in un luogo pubblico e sgranare gli occhi vedendo che qualcuno con nonchalance dà una boccata alla sigaretta, per poi accorgersi che si tratta di una elettronica. E passeggiando per la città avrete notato come sbucano qui e là sempre più rivenditori di e-cigarette. In Italia ancora non si conoscono molto, tranne che per i frequentatori di una celebre compagnia aerea low cost che le sponsorizza e vende la propria marca a bordo degli aeromobili già dal 2009. Dunque, che cosa è, realmente, la sigaretta elettronica? Cosa contiene? Com’è regolamentata? E soprattutto, fa male?
Innanzitutto, la cosiddetta e-cig, funziona in modo manuale o automatico. E’ composta principalmente da una cartuccia contenente del liquido, un vaporizzatore, una batteria, e un atomizzatore. Nel caso del funzionamento manuale si preme un pulsante, se è invece è automatica il processo avviene al momento del tiro, e in pratica l’atomizzatore scalda il liquido della cartuccia, il quale si vaporizza e viene aspirato dal fumatore. Non avviene combustione, il liquido si consuma perché diventa vapore. Chi osanna la sigaretta elettronica fa notare soprattutto ciò che non contiene, ossia: niente catrame, niente produzione di monossido di carbonio (sostanze assai nocive che caratterizzano le sigarette comuni), niente tabacco, niente carta.
Quello che essa contiene è invece meno noto. Il liquido che viene inalato e vaporizzato è composto da glicole propilenico, glicerina vegetale, acqua, aromi (si trovano cartucce con liquido al mentolo, alla fragola, alla mela, al limone) e, in alcuni casi, nicotina. Il glicole propilenico è una sostanza che si usa, tra i tanti, nel campo della cosmesi, e la sua tossicità è considerata molto bassa: per causare danni alla salute bisognerebbe ingerirne quantità importanti in una sola volta, quindi in linea di massima si può considerare sicura. Per quanto riguarda la durata, la batteria è ovviamente ricaricabile e la sua efficacia dipende da molti fattori, come la sua grandezza e potenza e la frequenza di utilizzo. La cartuccia invece equivale in media a tre o quattro sigarette normali, e si può ricaricare in casa. L’e-cigarette può costare dai 30 euro in su (alcuni modelli superano i 100 euro).
Detto ciò, va da sé che la scelta di acquistare liquidi contenti nicotina preclude dalla possibilità di smettere con la dipendenza da questa sostanza: in effetti diminuisce, ma la si continua ad assumere. Ecco perché molto fumatori tradizionali hanno scelto di cominciare a ‘svapare’ – il nuovo slang con cui si identifica il fumare una sigaretta elettronica – per diminuire pian piano l’effetto della dipendenza da nicotina. Certo non si elimina il desiderio del gesto, che per tante persone è l’aspetto più difficile da abbandonare: la sigaretta infatti per molti fumatori appaga già nell’azione di tenerla tra le mani, di fare la boccata, sentire il colpo in gola. Ecco che in questo caso la sigaretta elettronica non aiuta a smettere, anzi secondo l’opinione di alcuni rischia di legittimarne l’uso in qualsiasi contesto.
La diatriba sul ‘fa male oppure no’ vede i sostenitori delle sigarette elettroniche sostenere che, senza catrame, senza combustione, senza cattivi odori, senza fumo, questi apparecchi garantiscono il piacere di fumare minimizzando gli effetti davvero al minimo, anzi eliminandoli. Dall’altra parte c’è chi sostiene innanzitutto che non servono a smettere ma legittimare il vizio, e soprattutto che ancora non ci sono dati sufficienti per sapere se effettivamente fanno male oppure no. E’ vero che le sigarette normali contengono migliaia di sostanze nocive, e che non è certo la nicotina quella più pericolosa. Eppure ancora le organizzazioni della sanità e la legislatura italiana ancora non sanno con precisione come relazionarsi alle e-cigarette, tanto che ancora non esistono leggi precise al riguardo. E’ fresca fresca di giornata la notizia che i Nas di Torino hanno sequestrato 70.000 flaconcini di nicotina sintetica destinati al mercato delle sigarette elettroniche. La motivazione del sequestro è il mancato rispetto dell’etichettatura, che, oltre a non avere istruzioni in italiano, non forniva i consigli di prudenza e le necessarie ‘frasi di rischio’. Insomma la regolamentazione ancora non è chiara, ma l’etichettatura deve essere rigorosa, almeno in attesa che si definisca appieno il loro ‘posto’ nella società.