Il termine ‘selfie’, una versione contemporanea dell’‘autoritratto’, è stato definito dall’Oxford English Dictionary la parola dell’anno nel 2013. Un termine coniato appositamente per descrivere il frutto di un autoscatto di solito realizzato con smartphone e poi pubblicato sui social network, fenomeno diventato così ampio in un lasso di tempo relativamente così ristretto che gli studi antropologici, sociologi, psicologici, al riguardo si sprecano: i selfies sono diventati una manifestazione onnipresente, un termine che si legge o si sente pronunciare da tutti senza distinzione di età e livello di ‘tecnologizzazione’.
Ma chi lo studia da un punto di vista socio-psicologico o con l’intento di produrre una letteratura scientifico-divulgativa, nella maggior parte dei casi giunge alla conclusione che si tratta di una forma sfrenata di narcisismo, mescolata ad una buona dose di consumismo. Una sorta di ossessione per la propria immagine, strettamente legata al rapporto che si ha con la propria autostima, forse troppo alta, o magari troppo bassa. Che per buona parte riguarda le donne, in particolare le ragazze, dall’adolescenza in poi. Uno studio realizzato dal professor Derek Conrad Murray e pubblicato su Consumption Markets & Culture fornisce un’altra chiave di lettura del selfie, che secondo il teorico è troppo semplicistico bollare come ‘narcisismo’ e nulla più.
L’articolo (che potete leggere per intero qui) si intitola Notes to the self. The visual culture of selfies in the age of social media fornisce invece una serie di esempi che avvallano la sua teoria: il selfie è il nuovo strumento di lotta in chiave femminista: una sorta di ondata di femminismo, forse meno consapevole da un punto di vista politico ma assai reale. Attraverso il selfie le donne sono finalmente padrone della propria immagine: dopo anni, secoli di rappresentazione mediatica ad uso e consumo degli uomini, i social network e gli autoscatti stanno dando la reale possibilità alle donne di mostrarsi come vogliono. Che questo sia in un’immagine sessualizzata oppure una smorfia, o addirittura il proprio corpo dopo un’operazione, dopo il parto, senza trucco o nella più cliché delle pose (bocca a cuoricino e occhio languido) il selfie permette alle donne di mostrarsi come vogliono. Non serve finire su una rivista per farsi vedere, sia che si tratti di mostrare le proprie grazie, sia che ci si immortali per una campagna benefica o per affermare una propria posizione politica, o addirittura per abbattere il tabù (cancro al seno, ciclo, nuove forme di sessualità). E’ un po’ l’evoluzione de ‘il corpo è mio e lo gestisco io’, versione 3.0.
Derek Conrad Murray sostiene quindi, attraverso il lavoro di alcune fotografe professioniste e bloggers, e gli studi e le opinioni di molti protagonisti del settore, che il selfie vada ben oltre il narcisismo, ma nasconda una sorta di nuova rivoluzione femminista, spesso inconsapevole, uno strumento per affermare sé stesse che prima le donne non avevano e che ora possiedono, e usano come una ritrovata libertà di espressione, divenuta vera e propria urgenza. Resistenza politica e nuovo femminismo: Murray afferma che i selfie “se presi a livello individuale sono piuttosto banali, carichi di luoghi comuni, ma visti nell’insieme sembrano accennare ad una sorta di movimento rivoluzionario. Un post-terza-ondata di femminismo che reclama il proprio corpo”.