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Giuggiole, frutto di fine estate

Il proverbiale ‘brodo’ ci ricorda un piccolo e saporito frutto settembrino dalle speciali proprietà

Ciotola di giuggiole
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E’ assai noto il detto ‘andare in brodo di giuggiole’, ma meno familiare è l’origine di questo modo di dire popolare, e altrettanto estranee a molti sono le giuggiole stesse, frutti che in tempi recenti compaiono sempre con minore frequenza sulle nostre tavole. Il giuggiolo, albero dalle foglioline verde brillante i cui rami sono intricati quasi quanto un rovo e solitamente costellati di spine, raramente cresce spontaneo, e la sua coltivazione negli anni si è notevolmente diradata. Si tratta di una pianta coltivata in Asia e nel bacino mediterraneo da millenni (fonti storiche concordano sul fatto che il giuggiolo abbia addirittura 4000 anni, pur discordando sull’origine – nordafricana o orientale), i cui frutti erano molto apprezzati dagli antichi romani e utilizzati largamente nella medicina tradizionale cinese. Oggi si trova soprattutto nelle zone del nord-est italiano, particolarmente in Veneto, e i frutti si consumano nel mese di settembre.

Le giuggiole hanno la dimensione di un’oliva, a cui somigliano anche come forma. Quando sono acerbe si presentano di un colore verde tenue, una consistenza croccante, e un sapore simile a quello di una mela, mentre man mano che maturano assumono una tonalità marrone, si addolciscono nel sapore e si ammorbidiscono nella consistenza, fino a diventare raggrinzite, dolcissime e simili ad un dattero. Il giuggiolo non a caso è anche chiamato dattero cinese, mentre il suo nome botanico ricorda una formula magica: Ziziphus Jujuba.

Le proprietà delle giuggiole sono utilizzate nella tradizionale medicina cinese per curare problemi respiratori, per alleggerire infiammazioni alla gola, raffreddori, bronchiti. Sono ottimi lassativi, e vengono sfruttate come tonico e nella preparazione di composti calmanti in caso di ansia e agitazione. Consumare le giuggiole è un efficace modo di attivare l’intestino ‘pigro’, di assumere vitamina C e flavonoidi. Si mangiano crude sia da fresche che essiccate, e in cucina si utilizzano per la preparazione di composte e marmellate, oltre che dolcissimi sciroppi e liquori. Ed è in questo frangente che ci si ricollega al detto ‘andare in brodo di giuggiole’: il ‘brodo’ altro non è che il liquore dolce che si ricava dai piccoli frutti, talmente buono da dare piacere e felicità, che sono i sentimenti espressi nel proverbio. In verità il dizionario Treccani risale all’origine del detto toscano ‘andare in brodo di succiole’, ossia castagne lessate, che nel tempo sarebbero state sostituite per assonanza con le giuggiole.

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