Un recente studio ha messo l’alimentazione giapponese sul podio delle diete più sane al mondo. Per alcuni versi più di quella mediterranea. Non è la prima volta che le due tradizioni culinarie vengono messe a confronto, in un testa a testa che, in base alle ultime ricerche, sembrerebbe vedere quella dell’estremo oriente in pole position. Entrambi i tipi di alimentazione sono considerati ricchi di benefici per la salute. Ed entrambi vantano importanti tassi di riduzione di rischio di certe malattie (ictus, tumore, morbo di Parkinson). Ma stando ai dati emersi dall’incontro ‘Dieta giapponese e prevenzione oncologica‘ l’alimentazione nipponica garantirebbe una più alta aspettativa di vita (85 anni contro i 79 della dieta mediterranea).
Cosa c’è di benefico nella dieta giapponese
Abbiamo chiesto a Serena Capurso, biologa nutrizionista, un’opinione su alcuni degli alimenti iconici della cucina giapponese. Partendo dal piatto che più si è diffuso in Italia, ovvero il sushi. Composto, in linea di massima, da alghe, pesce e riso. “Le alghe sono tra i vegetali più sottovalutati, ma anche più preziosi. Dal punto di vista nutrizionale sono ricchissime di sali minerali (ferro, calcio, magnesio, potassio e iodio). E vitamine (A, B, C, D, E). Ma anche di acidi grassi polinsaturi (omega 3 e 6). Hanno quindi un effetto protettivo nei confronti delle patologie cardiovascolari, aiutando a tenere sotto controllo i livelli di trigliceridi e di colesterolo LDL. Inoltre le alghe hanno un effetto benefico sul nostro microbiota (l’insieme dei batteri che popolano nello specifico il nostro digerente). Aiutano quindi a stimolare il sistema immunitario”.
Insieme ai molteplici effetti benefici, esistono anche delle controindicazioni. “Proprio in virtù dell’alto contenuto di iodio, vitamina K e sodio devono essere consumate con moderazione da chi soffre di ipertirodismo, da chi fa uso di farmaci anticoagulanti e dagli ipertesi”.
“Il pesce è una valida alternativa alla carne, grazie alle proteine facilmente digeribili e ad alto valore biologico. Esse contengono tutti gli aminoacidi essenziali di cui abbiamo bisogno e che l’organismo non è in grado di sintetizzare. La quantità di grassi varia molto da specie a specie. Ma anche nei casi in cui la quantità di lipidi risulta alta, si tratta di grassi mono e polinsaturi, i cosiddetti ‘grassi buoni’, utilissimi al nostro sistema cardiovascolare. Inoltre i benefici del consumo di pesce riguardano la buona presenza di sali minerali come calcio, iodio e fosforo, utile per migliorare le funzioni cognitive”.
Per quanto riguarda il riso “Ne esistono molte tipologie, con caratteristiche nutrizionali anche piuttosto diverse. In generale, le varietà integrali hanno un buon contenuto di fibre e di minerali. Esse si perdono però con la lavorazione del riso bianco. Quest’ultimo risulta invece molto ricco di amido, che lo rende astringente e quindi utile a contrastare infiammazioni e fermentazioni intestinali”.
Il sushi è ‘light’?
Attenzione a non fare l’errore di abbuffarsi di maki e nigiri pensando di consumare un pasto ‘light’. In verità “Contengono pochissimi grammi di pesce o verdure, ma molti carboidrati e zuccheri, poiché il riso è condito con aceto di riso zuccherato. Inoltre c’è il rischio di eccedere con la quantità, dato dalla modalità con cui si consuma. Ogni ‘roll’ (un pezzo fornisce dalle 35 alle 70 calorie) corrisponde ad un boccone che si consuma masticando per pochi secondi, e questo porta facilmente ad eccedere”. Senza contare che nelle versioni ‘fusion’ di questi piatti si abbonda di maionese e salse varie. Non esattamente fedeli alla tradizionale ‘dieta giapponese’.
Non solo sushi
Ma andiamo oltre, perché in Giappone si consumano molti altri alimenti. Come noodles di diversi tipi. Fatti con farine di grano saraceno (soba). Di grano tenero (udon). Di frumento (ramen). Che vanno a tuffarsi in brodi di pesce, carne, verdure. Si mangiano spiedini di carne e pesce. Tra i vegetali, la cucina nipponica fa largo uso di radici (del fiore di loto, daikon, zenzero, rafano, yam). A tal proposito, osserva la nutrizionista: “Gli ortaggi da radice sono sempre molto ricchi di acqua e fibre, e poverissimi di lipidi e proteine. La quantità di carboidrati (che corrisponde al materiale di riserva energetica) è invece variabile a seconda della specie. Essendo la radice la parte della pianta utile a raccogliere e trasportare i nutrienti dal terreno, è sempre ricca di minerali ed oligoelementi (potassio, sodio, ferro, fosforo). Mentre poco rappresentate sono le vitamine”.
Soia, sì o no?
Nella dieta giapponese è quotidianamente presente il tofu, in mille varianti. Si tratta di un prodotto che deriva dalla soia, come moltissime altre preparazioni nipponiche. Proprio questo legume sarebbe alla base della bassa incidenza di tumore alla prostata tra i giapponesi. Lo afferma uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Biology and Reproduction (fonte). Secondo la ricerca, quando l’intestino digerisce la soia viene prodotta una molecola chiamata Equol. Essa sarebbe in grado di bloccare l’azione di un ormone maschile, il Dht, che è collegato all’ipertrofia prostatica e al tumore.
Eppure sulla soia persiste una certa di diffidenza, a causa della presenza di fitoestrogeni che aumenterebbero il rischio di tumore, in particolare quello al seno. Sottolinea la nutrizionista: “Rispetto ad altri legumi, la soia contiene una maggiore quantità di proteine, e ha un minor potere flatulogenico. Sicuramente contiene fitoestrogeni (tra cui gli isoflavoni), sostanze utili ad esempio dopo la menopausa per compensare la fisiologica diminuzione degli ormoni femminili. Ma proprio a questo riguardo si continua a discutere. Ad oggi non esistono studi univoci, e la questione deve essere ulteriormente approfondita. Il consumo di fitoestrogeni sembrerebbe proteggere dal rischio recidive e non interferire con la terapia ormonale. Ma, a titolo precauzionale, le donne che hanno già avuto una diagnosi dovrebbero consumarla con moderazione”. Per chi desidera approfondire il tema, qui l’opinione di Airc.
Fermentazione, una tecnica salutare
Infine, una particolarità della dieta giapponese è il consumo di cibi fermentati (il miso, per esempio). Si fanno fermentare legumi, verdure, pesce. “La fermentazione è un processo metabolico caratterizzato dalla trasformazione di carboidrati in alcol e acidi organici, che avviene per opera di microrganismi in ambiente privo di ossigeno. È una tecnica antichissima utilizzata come metodo di conservazione dei cibi, ma anche per produrre naturalmente fermenti lattici tanto utili al nostro benessere intestinale e non solo. Ci sono diversi studi che suggeriscono anche l’efficacia degli alimenti fermentati per migliorare la funzione cognitiva. Sono inoltre ben digeribili, aiutano a rafforzare il sistema immunitario e sono ricchi di probiotici, che aiutano a ripristinare il giusto equilibrio dell’apparato digerente”.