Quanto sono stressati gli italiani? Secondo un’indagine svolta da guidapsicologi.it, i dati provenienti dal mondo delle malattie psicologiche relazionate al mondo del lavoro, non sono affatto rassicuranti. A preoccupare è soprattutto il coinvolgimento di ogni fascia di età in questo tipo di patologie, che includono dai soggetti giovani e al primo impiego fino a quelli prossimi al pensionamento. Tutti in burnout.
Burnout, le cause principali
Tra le cause senza dubbio vi è la mancanza di riconoscimenti. Condizione aggravata dallo svolgimento di orari di lavoro eccessivi. E anche da livelli di richiesta eccessivi. Senza dimenticare obiettivi sempre più alti e poco realistici, oltre a una condizione di continua precarietà. Una situazione che portata agli estremi genera sentimenti di frustrazione e insicurezza sul lavoro. Sentimenti che possono trasporsi ad altre aree del quotidiano, intaccandole in modo importante. Non a caso, quello che fa questa sindrome, come suggerisce il nome stesso, è bruciare in senso metaforico il lavoratore. Annientandolo e rendendolo totalmente fuori uso.
I millennials aprono la classifica del burnout (39,54 %), seguiti da generazione X (25,62 %) e baby boomers (15,32 %). Fortunatamente la generazione Z sembra essere ancora immune a questa patologia (7,53 %). Il burnout nasce dal bisogno di controllo e dal perfezionismo ossessivo in ciò che si fa. Imparare a delegare e riconoscere il bisogno di aiuto da parte dei colleghi è un primo passo avanti per iniziare a liberarsi da un eccesso di obblighi e pensieri lavorativi. Fa riflettere che sia proprio la generazione millennials, simbolo della precarietà, ad aver sviluppato questa necessità di perfezione maniacale. Quest’ansia al fallimento, strettamente legata al dimostrare di essere sempre all’altezza.
Meno sicurezze, più depressione
Meno sicurezze sociali hanno portato l’individuo a portare al limite le proprie risorse e ad esigere sempre di più da se stessi, senza preoccuparsi delle conseguenze e della natura poco sana di questi meccanismi autodistruttivi che vengono messi in atto. Quando si tratta di depressione e lavoro, tematica più generica, che include soprattutto monotonia della quotidianità, ripetitività delle mansioni, automatizzazione delle procedure, sono generazione X e baby boomers a concentrare l’interesse con rispettivamente il 28,2% e il 26,1%.
Riguardo alla durata massima dell’assenza dal lavoro causa depressione, aprono la classifica i baby boomers. Con una percentuale del 40,3%, seguiti da generazione X (30,4%) e dai millennials (25,9%) e dai centennials (3,4%). In questo caso più che una rincuorante assenza di patologie nelle generazioni più giovani, si mette in luce la precarietà dei contratti e la scarsa tutela che questi offrono, e, di conseguenza, l’esclusione da questo tipo di diritti sociali di buona parte dei lavoratori. Il Burnout, così come il mobbing sul lavoro e tutte le forme particolari di malattie psicologiche legate al mondo lavorativo, non vanno sottovalutate. È importante prenderne coscienza e fermarsi prima che la situazione possa degenerare, rivolgendosi eventualmente a uno specialista.