Alzi la mano chi, una tantum, non ama cedere al richiamo del cibo spazzatura (noto anche come junk food). Parliamo di pizza, patatine, hot dog, snack confezionati, bevande gassate e chi più ne ha più ne metta. Qualora quest’eccezione dovesse trasformarsi in abitudine, ecco che si accende un campanello di allarme: mangiare un quantitativo eccessivo di cibi elaborati può accorciare la vita. Stando a quanto si legge sul Daily Mail, infatti, a confermarlo è stato uno studio condotto dai ricercatori dell’Università Paris-Sorbonne e pubblicato sulla rivista JAMA Internal Medicine.
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Cibi elaborati, i danni sulla salute
Prendendo a campione circa 45.000 persone di età compresa tra i 45 ei 64 anni, i ricercatori hanno portato avanti il loro test. Hanno dunque chiesto agli intervistati di fornire informazioni utili circa le loro abitudini alimentari, lo stile di vita e il loro contesto socio-demografico. Sono poi stati monitorati per un arco di tempo pari a 7 anni. Hanno dunque valutato il quantitativo di cibi elaborati assunti dai soggetti in questione. Cosa è emerso?
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In questo arco di tempo si sono registrati, in totale, 602 decessi. A influire sulla loro morte, molto probabilmente, è stato il consumo di alimenti ricchi di zuccheri aggiunti, sale e grassi saturi per lo più consumati sotto forma di snack, dessert o pasti pronti. I ricercatori, ovviamente, hanno preso in considerazione anche altri fattori come fumo, obesità etc.
La ricerca
Ricerche precedenti avevano dimostrato che questi alimenti sono spesso causa di ipertensione e cancro. Questo però è stato il primo studio che ha messo in relazione il consumo di prodotti industriali con la mortalità. Il consumo più elevato di questa tipologia di alimenti è stato associato a individui di giovane età, con un reddito basso e un basso livello di istruzione.
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“Sono necessari ulteriori studi al fine di poter confermare questi dati e per capire al meglio i vari meccanismi attraverso i quali i cibi troppo elaborati possono influire sulla salute”- ha concluso la Dott.ssa Laure Schnabel, coautore dello studio.
