Incredibile ma vero. Il costo della vaniglia arriva a battere quello dell’argento. Il prezzo al chilo ammonta a circa 600 dollari. Pari a circa 500 euro. Sicuramente le ripercussioni negative per l’aumento del prezzo non si verificheranno per i principali rivenditori e marchi. Ma non si potrà sostenere la stessa cosa nei confronti di alcune aziende più piccole. Queste stanno lottando strenuamente per tenere il passo. E per non fallire.
Ecco, questi crescenti costi, infatti, hanno obbligato Ruby Violet, produttore artigianale di gelati, a smettere di proporre il gusto di vaniglia. La stessa fondatrice Julie Fisher, alla BBC, ha spiegato che l’ingrediente è stato eliminato dal menu nei suoi negozi situati londinesi.
Il costo della vaniglia schizza alle stelle: tutta colpa del ciclone che ha colpito il Madagascar…
Nel Regno Unito, ancora un’altra azienda ha dovuto riconsiderare le sue opzioni di vaniglia. Si tratta di Snugburys Ice Cream, una famosa azienda a conduzione familiare. Nel Cheshire, precisamente a Nantwich, vengono prodotti nell’outlet specifico della fattoria, 40 tipi di gelati e tutti con gusti diversi. Ma un terzo di questi contiene vaniglia. Pertanto, attualmente, i gestori sono costretti a pagare l’ingrediente 30 volte di più, rispetto a quanto avevano speso in passato.
Cleo Sadler, che gestisce l’azienda insieme alla sue due sorelle, ha comunicato che l’anno precedente erano stati costretti ad acquistarne per un anno intero. La sua decisione mirava ad assorbire i costi. Ed è, così, riuscita nel suo intento. In verità, a prescindere dai costi, non vuole in nessun modo scendere a compromessi. La sua è un’azienda che utilizza soltanto ingredienti naturali, dichiara alla BBC. E mai e poi mai avrebbe scelto di rifarsi a un aroma artificiale.
La causa dell’aumento dei prezzi della vaniglia, da marzo 2017, è stata attribuita a un ciclone che ha colpito il Madagascar. Questo ha distrutto un elevato numero di piantagioni di vaniglia. Ma, se si pensa che questo Paese è uno dei maggiori esportatori al mondo, l’allarme è evidente. Il raccolto continua ad essere esiguo, riducendosi del 30%. Consequenziale diventa l’inflazione e, quindi, i timori di una relativa povertà. E chissà che il problema, a breve, non diventi anche italiano…