Peli lunghi della modella nello spot Adidas, sangue mestruale che scorre non più tinto di blu ma di rosso nella réclame Bodyform. I tabù femminili oggi scricchiolano e le donne chiedono di essere accettate con tutta la loro selvaggia natura. Da qualunque punto li si guardi, entrambi gli esperimenti pubblicitari hanno uno scopo in comune. Rispondere favorevolmente alle richieste di quella parte del pubblico femminile che vuole cancellare il senso di vergogna che le donne, ma non solo, provano per alcuni aspetti del proprio corpo.
Peli lunghi superstar della pubblicità: se l’imbarazzo è fuori moda
E dopo anni di oblio, il contraltare per aver oppresso l’immagine di peli e sangue, è l’esibizione su larga scala. O ancora la negoziazione per loro di un nuovo ruolo pubblico. Nella donna di domani, non c’è posto per l’imbarazzo. E la mancanza di empatia per il sangue mestruale sarebbe un segno di scarsa autostima. Ma si può stare bene con il proprio corpo senza che ogni aspetto fisiologico venga lasciato invariato? Perché viene da chiedersi se eliminare del tutto un sentimento come quello del pudore, sia un’azione del tutto priva di conseguenze sociali. Soprattutto se i peli lunghi fanno bene all’Io si può dire lo stesso nella coppia? Qual è il limite del body positive?
Oggi proveremo a rispondere alla questione con l’aiuto di una psicologa e terapista di coppia.
Peli lunghi e la fine del body-shaming del ciclo mestruale e delle donne non depilate
Facciamo prima un passo indietro. Il cambio di paradigma degli spot in questione, segue la richiesta delle tante consumatrici donne di far finire il body shaming. Ossia la cessazione di tutti quei processi che in vari modi instillano vergogna per gli aspetti del corpo femminile e maschile non del tutto conformi alla regola.
Chiaro che da un punto di vista esclusivamente morale il discorso tiene. L’accettazione della dimensione personale con le sue brutture, è un processo fondamentale per il benessere personale. Ma il punto è: per realizzarla è necessario eliminare del tutto la vergogna, il disgusto, la percezione di una fragilità? Oppure c’è spazio per un po’ di pudico rispetto della privacy di un corpo che a tratti ci dà fastidio? Perché a guardare la questione non dall’esclusivo punto di vista ideologico, ci si pone più di un interrogativo.
Che peso ha la vergogna nelle relazioni interpersonali? Va sempre cancellata, oppure è un sentimento che segna un confine tra l’individualismo sfrenato e una dimensione di negoziazione con l’altro che invece ne tiene conto?
Il parere dell’esperta
“La dimensione coppia si costruisce sulla base di un reciproco rispetto, sul riconoscimento delle esigenze dell’altro, oltre a quelle personali”. Questo è il parere della terapista di coppia Emanuela Napoli, alla quale abbiamo chiesto un parere sul tema. “Accettare che il nostro partner non sia perfetto è una premessa fondamentale per una relazione appagante. Questo non significa, allo stesso tempo, scendere a compromessi. Su qualsiasi cosa, difetto (fisico e non) o scelta radicale che sia (come nei casi qui portati in esempio). E così facendo assecondare quindi quelle che, secondo noi, sono delle “mancanze”.
“La negazione delle nostre esigenze è allo stesso modo una mancanza di rispetto nei confronti della coppia (oltre che di noi stessi), e quindi anche del/lla partner. Accettare qualcosa che proprio non ci piace dell’altro/a significa mettere a repentaglio la nostra attrazione nei suoi confronti, l’intimità di coppia e quindi anche la stabilità. La condivisione e la negoziazione di “scelte radicali”, nella coppia è necessaria, specialmente se il/la partner si ritrova a subirne improvvisamente la scelta. Insomma, nella coppia è importante migliorare chi ci sta vicino e lasciarsi migliorare da chi amiamo”.