Negli spogliatoi femminili e maschili, luoghi più simili a gruppi WhatsApp che a tuguri umidi da post partita, essere un buon amante significa snocciolare numeri peggio di un ragioniere. Il tema di quante volte fare sesso essendo in coppia è infatti frequente motivo di confronto e di ilarità, più che di ammirazione, quando si sfoggia il mito del sesso 6 giorni su 7: ‘ È legale?’, ‘Sette che?’.
‘Quanto spesso’ vs ‘come’
Capita spesso infatti di sentire come il ‘quanto spesso’ sia l’unico faro da tenere bene a mente per vantarsi con gli amici di un rapporto che alla lunga funzioni dal punto di vista sessuale. È così nelle conversazioni al bar, nello scambio di informazioni, nella narrazione del sesso come cosa pubblica, al cinema, in televisione.
Ragionieri o amanti?
La frequenza dei rapporti sembra essere tutto. E se invece i numeri non spiegassero il livello di soddisfazione? Se per far durare un rapporto oggi ci fosse bisogno di più amanti e meno di ragionieri? Di persone, uomini o donne, disposte ad ascoltare e non di partner in arrivo con la calcolatrice, dotati di convinzioni fisse, formule sull’equilibrio sessuale perfetto che contino i giorni e le ore senza andare oltre. Il nostro mondo è pieno di amanti che accondiscendono pur di tenere alta la media, mettendo da parte i desideri e dimenticandosi che in amore ognuno possiede un potere da esercitare. E poi, se non ricordiamo male, l’approccio scientifico alla prima notte di un certo Raniero Cotti in Viaggi di nozze non sembrava far divertire molto la sua Fosca.
Essere un buon amante: lo decidono i numeri?
Gli stereotipi sono divertenti, intendiamoci, ma tra quantità e qualità dei rapporti a chi dobbiamo dare la precedenza nell’incrocio affollato del benessere sessuale? Perché qui urlano tutti come pazzi e non si capisce niente.
Dal ‘quanto spesso’ al ‘come’
Se proviamo a lasciare da parte i numeri e a chiederci cosa significa avere una buona vita sessuale, l’asse si sposta sul ‘come’ piuttosto che sul ‘quanto spesso’. Così più che contare il numero degli amplessi e sentirsi in questo modo a posto con se stessi, si comincia a parlare apertamente di ciò che piace, (quanti lo fanno senza dare nulla per scontato?) e a provare a realizzarlo insieme. Ma nemmeno qui si tratta di una passeggiata di salute. Eccoci a contemplare l’universo alieno del desiderio da soddisfare privi della tecnologia giusta per colonizzarlo. All’inizio è uno shock trovarsi di fronte all’asimmetria dei propri desideri e non è affatto facile; perché il sesso ci rende insicuri come non mai. A volte è più semplice spogliarsi di jeans e biancheria che manifestare la nudità delle proprie uniche voglie. Eppure ci sembra necessario.
Soluzioni disponibili?
Quando si parla di preferenze numerosi manuali di self-help consigliano il dialogo aperto. Certo, parlare con l’altro è sicuramente importante ma non è per forza il verbo a scatenare l’eccitazione. Perché pure riempire il calendario con i giorni ‘giusti’ non aiuta molto la libido. Peggio ancora è usare il tono robotico della signorina di Google Maps per spiegare cosa piace. Invece aiutano di più gesti e ammiccamenti.
Lo spazio del no
Altro tema è quello del no. Di fronte alla richiesta di fare sesso, libere e liberi dall’algebra, possiamo avventurarci persino in un niet? O invece è sempre meglio accondiscendere? Nessuna delle due opzioni va affrontata con la massima rigidità. Il sesso andrebbe trattato come qualsiasi altra attività di coppia: ossia un modo per prendersi cura dell’altro. Come a volte si fa qualcosa che non ci va totalmente pur di rendere contento chi ci sta accanto, ogni tanto si può pensare di dire un sì persino se non lo si sente pienamente come proprio. Se si tollera ovviamente e se non sembra un costo troppo alto da pagare per mantenere viva la relazione. Altrimenti, meglio un no, educato ma fermo, pur di evitare molti danni.