Diversi dati, inclusi quelli evidenziati dal National Restaurant Association’s Restaurant Performance Index (fonte), affermano che le grandi catene di ristorazione americane sono in netto calo. Meno clienti, meno introiti, mai così pochi dal 2013: la sensazione è che la discesa sia solo a l’inizio. E a giudicare dalle possibili motivazioni fornite da alcuni CEO delle più grandi catene, il fondo non è ancora stato toccato.
Perché le grandi catene sono in crisi?
I CEO di grandi catene di ristorazione americane hanno dato al Business Insider una loro opinione sulle ragioni della crisi. Alcune di esse non sono note in Italia, ma assolutamente mainstream negli USA (Wendy’s, Yum, Olive Garden). Le attribuiscono in media alle elezioni americane (incertezza del risultato uguale ad incertezza economica, e quindi risparmio). Alla presenza di troppi ristoranti – in effetti negli USA la scelta è praticamente infinita. E infine, ai prezzi troppo bassi… dei supermercati.
O forse è perché…
Motivazioni che sembrano voler evitare a tutti i costi di vedere la realtà. Come sottolineano i commentatori, le ragioni sono, probabilmente, ben altre. Prima fra tutte quella economica. Oramai le grandi catene hanno prezzi talmente simili ai ristoranti di medio livello che non vale la pena mangiarci, vista la qualità del cibo. Inoltre, le persone (e gli americani in primis) si stanno avvicinando sempre di più a scelte salutiste, a ristoranti piccoli che servono cibo locale. O scelgono piccole catene che servono prodotti più ricercati.
Non è da sottovalutare, poi, l’aspetto del servizio: le grandi catene pagano i dipendenti con il minimo salariale. Questo equivale ad un servizio minimo, se non scadente. E non sempre a location degne di conciliare l’appetito. Con quello che si spende per mangiare in una catena di ristorazione, serviti malaccio e con cibo mediocre, tanto vale andare in un caffè locale, in un ristorantino di medio livello, nel bar che prepara panini con ingredienti più salutari. Inoltre, la crisi economica continua a pesare nelle tasche delle persone, e pensare di spendere per cibo mediocre sembra un sacrilegio. Forse i CEO dovrebbero fare i conti con queste motivazioni, piuttosto che dare la colpa ai supermercati e alle elezioni.