Se ad un uomo si chiede quale sia la prima cosa di una donna su cui gli occhi cadono, ci si immagina le risposte più fantasiose. Dagli occhi alla simpatia, senza dimenticare il lato B, ovviamente. Ma è il seno, magari grosso, la prima cosa che attrae la popolazione maschile. Il che, dai, non sembra assolutamente una novità.
Istinto di sopravvivenza e proseguimento della specie: ecco le ragioni principali che spiegano la nostra passione per il seno…
Uno studio accurato, condotto nell’Università di Sheffield e in Texas, ha rilevato che l’82% delle donne apprezza massaggi e carezze proprio al decolletè. Ma se ciò richiede un impegno maschile a favore della partner, non spiega sufficientemente il perché di tanto appeal. A questo punto sono state adottate due ragioni, entrambe di origini ataviche. La prima è da ricercarsi in un ancestrale istinto maschile. Quello che lo porterebbe a cercare una compagna per la riproduzione e il proseguimento della specie. E’ vero che in quest’ottica, una donna prosperosa è sinonimo di fertilità. Ma resta un concetto non suffragato da dati scientifici, anzi spesso smentito dai fatti.
La seconda ragione fa riferimento alla funzione principale del seno. L’allattamento, in cui si manifesta nell’uomo, l’istinto di sopravvivenza, come Young e Alexander ricordano. Il fondo neurologico riscontrato in queste teorie, è spiegato con il “legame dell’allattamento o il legame tra l’ossitocina e ladopamina, che è l’ormone della felicità”.
Ma se per gli uomini il seno è sinonimo di felicità, le donne la pensano un po’ diversamente. E il fisico c’entra poco. Secondo un altro sondaggio, cercano nell’altro sesso, innanzitutto, “lealtà e senso dell’umorismo”. Esercita un fascino particolare non solo l’uomo dedito ai fornelli o dalle qualità manuali, ma anche il denaro. Abbastanza gettonati risultano gli atleti, con il loro fisico muscoloso. Insomma l’umorismo, la sensibilità, la capacità di discutere e confrontarsi, sono tutte qualità ricercate. Al sesso, invece, viene riservata un’importanza secondaria. C’è da crederci?
