La nuova sfida che l’intera filiera è chiamata ad affrontare è riuscire a far percepire al pubblico finale il valore intrinseco di un prodotto realmente sostenibile e giustificarne il costo più elevato dovuto agli investimenti tecnologici. E quindi fabbriche a porte aperte, perché i clienti e i brand possono osservare come ogni singolo passaggio diventa più efficiente e ecocompatibile grazie a tecnologie anti spreco e a una logica industriale attenta all’ambiente. E una comunicazione ai consumatori finali sempre più diretta, completa e ricca di informazioni, anche attraverso i canali e le campagne social. In conclusione, come ha rimarcato a chiusura dell’evento Alberto Gregotti, presidente di Antia-Associazione Nazionale Tecnici Professionisti Sistema Moda “La sostenibilità, oggi, è anche e soprattutto trasparenza”.
Moda sì, purché sostenibile
Un appuntamento per ribadire il ruolo cruciale della responsabilità ambientale nel tessile
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La sostenibilità è sempre più di moda: ottima notizia che trova conferme in tutte quelle aziende di abbigliamento che negli ultimi anni stanno assumendo seriamente l’impegno di rendere la loro filiera ecologica, attenta all’ambiente e alla salute di lavoratori e clienti. Un trend in aumento quello della sostenibilità, che viene promosso come valore del Made in Italy da un numero crescente di realtà italiane. A testimoniarlo, il convegno che si è tenuto la settimana scorsa, promosso da Antia-Associazione Nazionale Tecnici Professionisti Sistema Moda, dal titolo “La sostenibilità come valore del made in”.
Sede dell’evento il quartier generale di Eurojersey, azienda italiana leader nella produzione dei tessuti tecnici Sensitive® Fabrics e promotrice dal 2007 del programma SensitivEcoSystem®, per la produzione sostenibile su larga scala. La sostenibilità in tutti i punti della filiera, a partire dalle materie prime, è un elemento chiave, non un valore aggiunto, bensì un pilastro su cui costruire un futuro solido fatto di eccellenza. L’incontro ha coinvolto imprenditori e manager accomunati dalla lunga esperienza nel settore tessile e dalla visione di sostenibilità, tra cui il presidente di Antia Alberto Gregotti e lo ‘special guest’ David Shah, editore di View Textile Publications e trend guru: suo l’intervento di apertura, provocatorio e illuminante, che ha puntato il dito sull’esasperazione dei consumi, esacerbata anche dal design, che spesso finisce di favorire l’acquisto fine a sé stesso e quindi lo spreco: “Il compito del design è lavorare sul meno, sulla sottrazione. Riformulare gli oggetti a partire dalla gestualità quotidiana, dalla condivisione, dall’uso reale. Impegnarsi per la longevità dei prodotti”.
La sostenibilità inizia da un modo nuovo di concepire il prodotto che coinvolge tutti gli attori della filiera, a monte e a valle. Afferma Claudio Marenzi – presidente di Herno S.p.A, oltre che presidente di Sistema Moda Italia e del Consorzio Classico Italia, “Oggi nel tessile la sostenibilità è quanto di più innovativo ci sia. È ciò su cui lavorano le aziende più lungimiranti… noi brand che siamo a valle abbiamo la responsabilità di scegliere fornitori green, di avere una nuova consapevolezza di chi produce per noi. E poi sta a noi brand, che parliamo al pubblico finale, attivarci nel marketing e nella sensibilizzazione…”
Ma a conti fatti, adottare pratiche sostenibili premia l’azienda? Sottolinea Alfonso Saibene Canepa, consigliere di amministrazione e responsabile supply chain di Canepa S.p.A. “Nell’ultimo anno i consumatori che legano le loro scelte d’acquisto alla sostenibilità dei prodotti sono saliti dal 3 al 18%. La risposta da parte del tessile e dell’abbigliamento è una completa tracciabilità della filiera, come già avviene nell’agroalimentare, con una mappatura sempre più precisa dei fornitori”.