Giù da un burrone, un ponte, un edificio qualunque: purché sia molto alto. E non per un gesto di disperazione, ma volontariamente e con una corda legata alla caviglia. È una delle passioni di tanti giovani e non, che nel corso degli anni più recenti sono stati letteralmente sedotti da questo sport estremo. Quest’attività sportiva conosciuta come bungee jumping viene praticata in luoghi lontani dal centro abitato utilizzando corde elastiche. Sul sito della Treccani si legge “Adrenalina è il termine più diffuso nei racconti di chi pratica abitualmente o abbia provato almeno una volta l’esperienza degli sport estremi, o sport d’avventura. Sfida si classifica al secondo posto.”
Il bungee jumping nasce da un antico rituale d’iniziazione di una tribù delle Nuove Ebridi, dove segnava il passaggio dall’età adolescenziale a quella adulta. Lo sport cominciò a diffondersi intorno agli anni ’50, quando David Attenbourough fece conoscere al mondo un filmato che mostrava alcuni giovani ragazzi dell’isola di Pentecoste intenti nell’esecuzione di una prova di coraggio: si lanciavano nel vuoto da una piattaforma di bambù, trattenuti solo da una liana legata al piede. Oggi è considerato in certi casi propedeutico al paracadutismo o al volo in deltaplano.
Tra i più entusiasmanti luoghi del mondo in cui praticare questo sport estremo, il lancio dal vulcano Villarica, in Cile: bisogna lanciarsi da un elicottero che sorvola il cratere del suddetto vulcano e come se non fosse abbastanza, si rimane appesi all’elicottero fino al suo ritorno alla base, viaggiando sospesi nel vuoto a una velocità di circa 130 km/h. Da brividi anche il salto dal Kuala Lumpur International Jump, in Malesia. E ancora il salto dal Royal George Suspension Bridge, negli USA; si tratta di un incredibile salto di 321 metri nel bel mezzo di un canion.
In Italia, tra i centri più famosi, il Valgadena Bungee Center e il centro di Bungee Jumping in Abruzzo, al Ponte di Salle. Ciò che accomuna nella passione per il salto nel vuoto è, oltre all’adrenalina, quel desiderio primordiale di essere a contatto con la natura, la voglia di staccare la spina dalla quotidianità concedendosi momenti di pura libertà e cedendo alla voglia di sentirsi spogliati di tutto: problemi, dolori, vita cittadina e soprattutto paura. Sembra contraddittorio, ma intraprendere un salto con la sensazione di “morire” schiantandosi a terra a velocità estreme, porterebbe alla cancellazione di molte paure di cui siamo quotisiamente afflitti: malattie, perdita di persone care, mancanza di coraggio, timidezza o fobie di vario genere.
Alcune ricerche hanno cercato di spiegare anche i motivi neuropsicologici che possono guidare alcune persone più di altre a ricercare esperienze “no limits”. Tali studi hanno associato la capacità, che alcune attività possiedono, di aumentare la secrezione di adrenalina, al bisogno di rischiare di alcune persone, alla loro propensione a cercare sensazioni estreme, alle tendenze stravaganti e poco ripetitive nelle azioni quotidiane. Questa risposta chimica del corpo è legata alla capacità di situazioni “al limite” di attivare un’esperienza denominata “combatti o fuggi”, in grado di far provare i brividi, vissuti piacevolmente in coloro che ricercano frequentemente questo tipo di esperienze. Esse, infatti, riescono a far sperimentare una sensazione di pericolo imminente che attiva i meccanismi di sopravvivenza in risposta ad uno stress, per far fronte all’evento attraverso i cambiamenti neurofisiologici ormai molto noti.