La notizia è doppia. Alle donne piace il porno. In Italia lo guarderebbe circa il 20% della popolazione femminile contro una media mondiale del 23%, secondo i dati diffusi da PornHub nel 2015. Le donne però fanno di più. E da fruitrici esperte sono persino in grado di criticare le debolezze di un sistema che promuove sempre lo stesso stanco immaginario erotico. E magari organizzarsi di conseguenza per dare un nuovo respiro creativo al settore. Per Le Ragazze del Porno – collettivo nostrano di circa una decina di artiste e registe – il mondo dell’hard ha perciò bisogno di liberarsi dalla tipica monocromaticità degli stereotipi sul piacere sia maschile che femminile.
Senza che questo significhi oscurare il porno cosiddetto mainstream. Anzi, i due mondi possono lavorare insieme per dare alla sessualità una rappresentazione più completa e ampia, se persino una star del cinema hard come Valentina Nappi decide di lavorare gratis per Le Ragazze del Porno. Abbiamo quindi incontrato a Roma Lidia Ravviso, regista che insieme a Regina Orioli, Anna Negri, Tiziana LoPorto, Emanuela Rossi, Slavina, Monica Stambrini, Federica Sozzi, il collettivo Industria Indipendente e Titta Cosetta Raccagni, stanno portando avanti questa sorta di think tank sul porno molto creativo e in via di continua definizione.
Le ragazze del porno è un insieme di artiste e registe che fanno porno secondo una prospettiva femminile. Che cosa vuol dire?
Dunque siamo entrate nel progetto grazie a Tiziana LoPorto (giornalista e scrittrice ndr)che è l’unica di noi a non essere una regista. Lei si è ispirata alle esperienze europee ed extra-europee di questo tipo. Ne ha cominciato a parlare con Monica Stambrini (regista di film tv e documentari ndr) e dall’altra parte c’eravamo io e Slavina (videomaker e porno-attivista). Ci siamo incontrate a un laboratorio di scrittura erotica circa tre anni fa e abbiamo parlato dell’esigenza di riempiere una fetta di mercato non coperta. Ci siamo dette che ci piaceva la pornografia e che non avevamo un’ottica di censura rispetto a quella mainstream, ma ci siamo anche accorte che al suo interno esisteva una mancanza. Non in termini di numero di registe donne, che sono persino molte all’interno del settore, ma proprio di immaginario. Il nostro punto di vista è invece quello di capire che all’interno del genere del porno ci possono essere delle lacune. E questo prescinde dalla componente femminile o maschile.
Come vi collocate rispetto alle esperienze europee?
Credo che il tratto distintivo di Le Ragazze del Porno rispetto alle spagnole e francesi, sia che noi veniamo da un background di cinema d’autore, documentari, videoarte, dove l’estetica dell’immagine è molto importante.
Che tipo di resistenze avete incontrato lavorando su un progetto del genere?
Abbiamo avuto grande interesse mediatico all’inizio. In realtà passata la curiosità c’è stato meno interesse. Questo ci ha fatto credere che forse l’attenzione iniziale fosse dettata da un interesse pruriginoso e non da una volontà seria di dare dignità artistica a questo genere. Però la società è pronta. Lo si vede dalle donazioni – ci siamo per ora finanziate grazie ad iniziative private e crowdfunding – e dalla grande affluenza dei casting dove le persone venivano proprio a raccontarsi. Trovavi dalla coppia giovane alle persone più grandi. A livello istituzionale questa visibilità invece non ha prodotto nessun sistema di sostegno. Ma perché è proprio la situazione dei finanziamenti all’audiovisivo a essere oggi difficile.
Fino ad adesso quanti lavori avete prodotto?
Tre, due sono finiti, Insight e Queen Kong di Monica Stambrini, mentre il terzo di Regina Orioli è in fase di post-produzione. Per la distribuzione ci stiamo pensando ancora. Un solo corto è poco, anche tre in realtà, per essere distribuito. Adesso stiamo andando in giro per i festival e poi continueremo a produrre altri corti per poi pensare a diverse piattaforme. Adesso Insight sarà prossimamente al Fête du Slip di Losanna mentre di quello di Monica andrà invece a un festival newyorchese.
La dicitura ‘prospettiva femminile’ può essere fuorviante? Cioè allargare lo sguardo sulla sessualità potrebbe essere considerata una sorta di liberazione per tutti…
Sì assolutamente. Poi nei nostri lavori ci sono storie molto diverse. In Queen Kong di Monica Stambrini è protagonista Valentina Nappi che abbiamo trasformato in un satiro. Tra l’altro ha lavorato gratis perché le piaceva il progetto. Il mio corto invece ha al centro la masturbazione femminile. Perché era uno di quegli argomenti sui quali nella pornografia c’era proprio una mancanza anche visuale. E ti posso dire che molti uomini sul set, le maestranze, erano scossi da questo atto. Quasi non avessero mai visto l’organo femminile così da vicino. Il porno serve tanto agli uomini e quanto alle donne. Proprio come il femminismo.
Quando si parla di porno e di eros ci si trovi spesso di fronte a un paradosso; da una parte c’è la voglia di mostrare tutto anche in maniera esplicita, dall’altra parte però forse il meccanismo del desiderio procede insieme a un po’ di mistero…
Quello dipende dalla storia che racconti. Quando abbiamo incontrato Rocco Siffredi e gli abbiamo mostrato i nostri corti lui ci ha detto: “Da produttore non so come collocarvi, ma vi invidio perché avete una libertà creativa che io non ho”. Bisogna fare in modo che il porno non sia considerato un genere di serie b. Fa parte della nostra vita come tante altre cose.