O almeno appare retrograda come unica lente attraverso la quale filtrare ogni scelta lavorativa portata avanti dall’universo femminile. É quanto emerge da una critica recente mossa allo studio condotto da Jonathan Black, direttore della Oxford University Careers Service, che ha deunciato – dopo aver analizzato un campione di circa 4000 ragazze – come la maggior parte di esse siano attente a scegliere lavori fruttuosi dal punto di vista della soddisfazione personale, come un impiego nel mondo delle onlus e dei musei, e meno interessate al dato economico, soprattutto se comparate con i colleghi maschi.
“Un dato che spesso limita le donne nel cercare una carriera migliore e pagata meglio”, conclude il dott. Black. Ma fermi tutti. Chi dice che scegliere un lavoro che piace, sia in qualche modo una scelta di serie b? Lo afferma un uomo, o comunque uno studioso che prende come punti di riferimento il dato materiale come simbolo unico di soddisfazione personale.
Eppure, non è così, e bisogna smettere di equiparare il mondo del lavoro secondo degli standard di felicità uguali per tutti. Esistono professionisti che scelgono professioni specifiche solo per il salario, e altri, anche le donne, che invece fanno una scelta di passione e di entusiasmo. Possiamo per un attimo ammettere che entrambe le risposte siano valide? Perché le donne stanno sempre di più scegliendo consapevolemente, anche se il gap di partecipazione al mondo del lavoro è ancora cospicuo, che vita volere per sé. Perché sia che si scelga il salario, o la passione, c’è davvero posto per entrambe le scelte, senza gerarchie di lavori di serie a o b.