Non dev’essere facile per una maison comparire in calendario nella settimana della moda parigina nello stesso giorno di Chanel. La ragione è abbastanza ovvia: Karl Lagerfeld riesce sempre ad attirare tutta l’attenzione sul suo show, un vero e proprio spettacolo con tanto di scenografia mastodontica che ogni anno prende corpo presso il Grand Palais. Giusto Valentino poteva obbligarlo a condividere le attenzioni, calamitando su di sé l’interesse internazionale. E così è stato.
La sfilata di Chanel si è svolta in un aeroporto, ricreato per l’occasione con tanto di sale d’imbarco e desk del check-in. Chanel Airlines ha portato gli spettatori ad imbarcarsi per Shanghai, New York, Dubai, Londra, Roma, con il loro biglietto-carta d’imbarco e assistenti di volo in impeccabile uniforme. E come accade veramente negli aeroporti, le modelle provenivano a gruppi da tutte le direzioni, ed ognuna portava un abbigliamento diverso dall’altra, perché l’umanità negli scali internazionali è assolutamente varia. I tratti in comune, tipicamente Chanel, sono i completi giacca e gonna (a tubino oppure svasata sul fondo), l’uso del tweed, ma ogni outfit si distingue per la texture, la fantasia, il pattern. In generale sono combinazioni eleganti ma comode, a volte addirittura casual, perché la donna che viaggia ha bisogno prima di tutto di libertà nei movimenti, di poter togliere e mettere il capospalla, di indossare sandali bassi e pratici.
Il contesto aeroportuale inscenato nel giorno stesso in cui Air France ha annunciato i tagli (che hanno portato al quasi linciaggio dei dirigenti della compagnia) sembra cadere a fagiolo con l’attualità, ma, visto che le collezioni si preparano con mesi di anticipo, l’intenzionalità suona impossibile. Si sono invece ispirati chiaramente ed esplicitamente ad un tema attualissimo Maria Grazia Chiuri e Pierpaolo Piccioli, che hanno fatto dell’immigrazione il concept portante della sfilata Valentino. Ponendo l’attenzione sulla questione degli immigrati, gli stilisti hanno voluto ricordare come guardare agli altri, conoscere chi è diverso possa apportare ricchezza culturale e, nel loro caso stilistica. E’ l’Africa e il suo folklore a caratterizzare gli outfit, che si colorano di patchwork, si arricchiscono di ricami che evocano le decorazioni tribali, di applicazioni d’impatto come le piume d’uccello, di strisce di pelle degne di una regina di Aksum. Un’Africa forse un po’ convenzionale, ma che con la sua cultura più ancestrale fornisce spunti pressoché infiniti per una collezione che parla di mescolanze culturali e stilistiche.