Donne con idee solide, rivoluzionarie, potenti, e con gambe ancora fragili almeno dal punto di vista economico. E’ questo il quadro delle 18 finaliste dell’annuale Cartier Women’s Initiative Awards, che fin dal 2006, premia 6 progetti guidati da una componente femminile, capaci di fornire servizi e soluzioni alle più grandi sfide della nostra epoca.
Il premio, concluderà il proprio iter a ottobre 2015, con la vittoria finale di 6 progetti, ognuno per area di localizzazione tra Africa Subsahariana, Europa, Asia-Pacifico, America Latina, Medio Oriente – Nord Africa, Nord America. Al momento invece, dopo una prima scrematura dei tanti progetti arrivati, le finaliste ricevono assistenza e consulenza per incrementare il business plan iniziale, mentre la vittoria ultima prevede un finanziamento di 20.000 euro, contatti, esposizione mediatica e continua consulenza professionale. D’altronde il riconoscimento Cartier, patrocinato da il Women’s Forum, McKinsey & Company e la business school INSEAD, mira a sostenere il talento al femminile aldilà del sapere teorico e nozionistico.
E i progetti in gara sono davvero esplosivi e in grado di coprire molti settori. Dalla salute, con la start-up di Ciara Ciancy, irlandese, che progetta di fornire un trattamento per i malati di Parkinsons sfruttando le proprietà di un comune smartphone.
Oppure l’idea di Sarah Hawilo dal Libano, di creare una app capace di prenotare ristoranti e contemporaneamente fornire dai sui consumatori ai ristoratori stessi. C’è anche tanto ambientalismo nel premio Cartier, con Thato Kgatlhanye, sudafricana, che ha messo su una start up in grado di riciclare le cartelle scolastiche, in oggetti che assorbono energia solare e la rilasciano di notte come piccole lampade luminose. E con delle proposte così, nessuno vorrebbe davvero essere nei panni dei giudici chiamati a eleggere i progetti vincitori.