Uno dei maggiori effetti della crisi economica che imperversa dal 2007/2008 è la costante erosione di quello che viene comunemente definito il ‘ceto medio’. Un’ampia fetta di popolazione dei paesi sviluppati si collocava infatti a metà tra i ricchi e i poveri: lavoratori sia dipendenti che autonomi in grado di condurre uno stile di vita – chi più chi meno – benestante, che permetteva ai figli di studiare, di concedersi qualche agio, di fare acquisti di qualità. Senza sconfinare nel lusso, ma nemmeno tirando costantemente la cinghia.
Tra le pubblicazioni più recenti su questo tema ‘La media non conta più. Ipermeritocrazia e futuro del lavoro’ (Università Bocconi Editore), scritto da Tyler Cowen, uno dei più influenti economisti dell’ultimo decennio secondo l’Economist, inserito nella lista dei Top 100 Global Thinkers dalla rivista Foreign Policy. Cowen analizza il divario tra ricchi e poveri sempre più ampio, la famosa forbice che si allarga a causa della crisi economica, che se da un lato impoverisce la maggior parte dei cittadini, dall’altro arricchisce chi dispone dei mezzi e delle capacità di adattarsi a questi cambiamenti.
Dagli anni ’90 in poi sono ascese allo ‘status’ di ceto medio anche diverse classi di lavoratori un tempo considerate proletarie, come quella degli operai o degli agricoltori, e con il boom del lavoro autonomo, con i nuovi settori tecnologici, con le nuove frontiere dei viaggi, della ricerca, tantissime nuove professioni si sono affacciate a questa classe di mezzo. Che ora è drasticamente ridotta, affermano molti economisti e osservatori internazionali. Gli italiani non percepiscono più l’appartenenza al ceto medio, a differenza di alcune decadi fa in cui la maggior parte de nostri connazionali vi si auto-inseriva: il settimo rapporto dell’osservatorio europeo sulla sicurezza della Fondazione Unipolis afferma che se otto anni fa vi si collocava il 60% degli italiani, oggi la maggioranza degli interpellati (52%) colloca la propria famiglia nella classe sociale “bassa e medio bassa” (fonte: ilSole24ore).
Ma torniamo all’ipermeritorcrazia di Cowen: cosa significa? Secondo l’economista “Le disuguaglianze sono ormai generate dall’ipermeritocrazia, chi dispone di mezzi e capacità di adattarsi ai cambiamenti imposti dalla rivoluzione tecnologica si arricchisce, mentre tutti gli altri, i poveri e la classe media, restano indietro”. E difatti chi sono i nuovi ricchi? Sono soprattutto i magnati dell’high tech, dei social network, dell’e-commerce, sono coloro che sono riusciti ad inserirsi in un settore nuovo, svincolandosi da quelli stagnanti, e che paradossalmente in questa epoca storica stanno guadagnando in proporzione più di quanto un imprenditore abbia mai fatto in passato.
Le disuguaglianze sociali si sono allargate, e lo scenario che Cowen traccia non parla solo di lavoro e di reddito, ma anche di consumo medio, di alfabetizzazione media. Non esiste più nulla di tutto ciò, ma solo chi consuma tanto e chi quasi nulla, chi è altamente specializzato e chi no, chi acquista prodotti di lusso e chi punta dritto al low cost. Gli indicatori ‘medi’ non hanno più significato, o si eccelle, o non si è. “Nel nostro futuro ci saranno più ricchi di quanti ce ne siano mai stati” scrive Cowen, “e più poveri e non sapremo come a tutto questo si possa porre fine”. Quindi, che fare? Cowen risponde “Seguire la cosiddetta opzione Donner, campione di scacchi cui fu chiesto quale strategia seguire in una partita contro un computer, che rispose: porterei un martello”.
La media non conta più. Ipermeritocrazia e futuro del lavoro
Tyler Cowen
Università Bocconi Editore – UBE – 2015