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Mettete dei fiori nei vostri joystick

C’erano una volta i videogames sparatutto sanguinolenti: oggi l’obiettivo è creare armistizi, costruire ponti, cercare la pace…

This war of mine
Courtesy of ©This war of mine
Ci sono voluti più di due decenni per cambiare approccio nel mondo del videogame. E, sebbene siam sicuri che rimarrà qualcosa di nicchia, è comunque un bel passo in avanti. Era il 1992 quando Wolfenstein 3D (dove di 3D aveva molto poco) è il primo videogioco del genere sparatutto. Pistole, cannoni, coltelli, bombe e mitragliatrici: tra Quake e Duke Nukem abbiamo visto tutte le armi possibili e immaginabili. L’importante era ammazzare tutti e andare avanti. 
 
Oggi c’è un gioco dove non bisogna far punti spargendo sangue ovunque attorno a voi. La prospettiva è praticamente diversa, opposta, e bisogna difendere chi incontrate, occorre mettere in salvo i civili. Uno dei progetti più avanguardistici, in questo senso, è quello di Project Syria, un simulatore di “giornalismo immersivo” progettato dalla University of Southern California: basta un paio di occhialini per ritrovarsi tra le strade di Aleppo e risolvere i quesiti proposti. 
 
Ma prima c’era già stato il famosissimo This War of Mine, uno dei videogiochi più toccanti in commercio, che trasporta il giocatore in uno scenario bellico devastato, ma dalla prospettiva di un gruppo di civili che cercano di sopravvivere in una città assediata, lottando ogni giorno per la mancanza di cibo, di medicine e per difendersi da pericolosi cecchini. 
 
E poi ancora c’è la Serie Global Conflicts della Serious Games che racconta i conflitti più recenti, dal Guatemala all’Afghanistan, dove prenderete le parti di un reporter che deve investigare sulle ragioni della guerra ma che deve evitare di esserne vittima. 
 
Eppure dieci anni fa c’era giù qualcuno che si muoveva in questo verso. Il precursore del genere, infatti, potrebbe essere il designer uruguaiano Gonzalo Frasca, che nel 2003 realizzò September 12th, una simulazione in flash in cui un paese mediorientale è mira di bombe e crudeltà. E c’è ancora Peacemaker, un nome una garanzia, per immergersi in questa realtà mediorientale per avvicinare le realtà israeliane con quelle palestinesi. Qualsiasi sia il vostro punto di vista, è ora di approfondirlo, di allargarlo, di confrontarlo. Nei videogames, dove tutto è possibile, la pace è un obiettivo reale, raggiungibile. La realtà, si sa, è un’altra cosa.

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