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StopPhubbing, la campagna anti-smartphone a tavola

Una battaglia senza esclusione di colpi per dire ‘basta’ all’ossessione da cellulare, soprattutto al ristorante

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E’ un fenomeno che dilaga più veloce di un’epidemia, e forse è già troppo tardi per arginare il contagio, eppure c’è chi ha imbracciato le armi ed è partito per la crociata. Stop Phubbing è la campagna che vuole aprire gli occhi a chi è malato di smartphone, ovvero tutti coloro che, anche quando si trovano in compagnia di qualcuno, si assentano completamente rapiti dal proprio cellulare. Se aggiornare status è più interessante di conversare con la persona con cui siete a cena, avete un problema di dipendenza oppure avete completamente sbagliato compagnia. In ogni caso si tratta di un comportamento estremamente maleducato e insopportabile per chi vi sta a fianco (a meno che il vostro commensale sia come voi, probabilità nient’affatto rara).

Stop Phubbing (dove phubbing sta per ‘ignorare qualcuno in un contesto sociale stando a guardare il proprio telefono anziché prestargli attenzione’) sfodera l’arma dell’ironia per dire ‘basta’ allo smartphone a tavola, e in generale all’uso del cellulare in ogni situazione in cui ci si trova con persone reali. Lo fa attraverso buffe statistiche e casistiche, invitando a scaricare locandine anti-Instagram/Facebook/Twitter nei luoghi pubblici, segnaposti per matrimoni e grandi eventi, suggerendo di utilizzare un mail pre-compilata da inviare ad un conoscente ‘malato’ di smartphone, pubblicando foto di star impegnate nella pratica del phubbing. E, non ultimo, invitando gli utenti a caricare sul sito le foto dei propri amici, ma anche di sconosciuti visti al bar, in pieno raptus di phubbing, perché l’umiliazione è un male necessario, afferma ironicamente la campagna.

Un modo divertente perché le persone si rendano conto di quali livelli sono stati raggiunti con questa mania di aggiornare costantemente i social o seguire gli aggiornamenti degli altri, dimenticandosi di vivere la vita reale, le relazioni vere, gli amici in carne ed ossa anziché quelli virtuali. L’ironica protesta si unisce al coro, sempre più corposo, di ristoratori che hanno detto ‘basta’ alle foto dei piatti: dal Bite di Dublino, al Ko di New York, passando per Abu Gosh di Gerusalemme e il Four Barrell Coffee di San Francisco, si alza la protesta contro i clienti che pensano più a pubblicare foto che a godersi il cibo. Rinunciando a quel poco di pubblicità che Instagram fornirebbe, i gestori di questi locali preferiscono un ambient dove si conversa amabilmente e dove i piatti si gustano, anziché vedere i loro clienti chini sullo smartphone o peggio, in piedi per trovare l’angolazione migliore. Ecco che alcuni vietano di fare foto, altri chiedono di tenere il cellulare in tasca, altri ancora deridono esplicitamente chi posta le foto di quello che mangia su Instagram.

Quella che era nato come un passatempo divertente per amatori o un lavoro per i professionisti è diventato una vera e propria ossessione collettiva, che qualcuno ha soprannominato Food Porn. Ci si sono messi poi ristoranti e supermercati che offrono cene e prodotti in cambio della foto sui social, e il patatrac è stato fatto. Forse sarà difficile tornare indietro, ma a leggere l’ironia con cui Stop Phubbing deride gli affetti da ‘smartphonite’ forse qualcuno potrebbe rinsavire.

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